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Il canto gregoriano

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== Semiografia della notazione quadrata ==
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Il canto gregoriano è scritto mediante la notazione quadrata, di tipo '''diastematico''', ovvero che colloca i segni indicanti ogni sillaba (neumi) entro linee e spazi definiti. L’invenzione di questo tipo di notazione, i cui primi embrioni si rintracciano a partire dal XI secolo, è attribuita con una semplificazione storica al monaco camaldolese ''Guido d’Arezzo''. Prima del IX-X secolo, periodo in un cui iniziò una ricerca della diastemazia, ovvero la definizione degli intervalli melodici, la musica veniva trascritta in modo '''adiastematico''', ovvero con neumi in campo aperto, senza alcun riferimento in base all’intervallo o all’intonazione. Questo sistema di scrittura, che permane ancóra oggi nel canto bizantino, in pratica aveva significato solamente per chi già conosceva la melodia, dando indicazioni esecutive sia dinamiche che agogiche attraverso le cosiddette ''litterae significativae'', le quali indicavano come procedere nell’esecuzione allo scorrere del testo.
 
L’utilizzo di una simile notazione, come si può facilmente arguire, doveva creare diversi problemi di entità tecnica: i cantori erano costretti ad imparare a memoria una grande quantità di melodie prima di essere in grado di cantare
adeguatamente nella liturgia; ciò richiedeva oltre venti anni. Proprio a questa difficoltà di formazione dei musici cercò di ovviare Guido d’Arezzo o chi per lui inventò la notazione quadrata.
 
In questa notazione i neumi sono posti in spazî e linee di un '''tetragramma''', ossia un rigo a quattro linee. All’inizio del rigo si trova la '''chiave (1)''' , che indica la posizione di una nota del rigo e fornisce il punto di riferimento per leggere la linea. Esistono due tipi di chiavi, quella di ''do'' e quella di ''fa'', utilizzata raramente. Possono trovarsi su diverse linee, a seconda dell’estensione del brano (''ambitus''), la chiave di do sulla terza o sulla quarta indifferentemente, raramente sulla seconda, mai sulla prima; la chiave di fa si trova solo sulla terza linea, ad eccezione di rarissimi casi in cui si trova sulla quarta. Qualora l’ambitus sia particolarmente ampio e superi lo spazio disponibile nel tetragramma, si supplisce con taglî addizionali sopra o sotto il rigo, altrimenti è possibile spostare o cambiare la chiave.
 
Alla fine di ogni tetragramma si trova la cosiddetta '''guida''' ''custos'' '''(9)''' che indica la nota seguente che si troverà nel rigo successivo. Non ha alcun significato musicale, ma è solo un aiuto per permettere una lettura piú rapida e scorrevole al cantore.
 
Poiché il canto gregoriano è essenzialmente al servizio del testo, all’interno di esso saranno segnalate delle pause e delle cesure. Ciò viene fatto attraverso le '''stanghette''':
* il quarto di stanghetta (''divisio minima'') indica la fine di un inciso e, nella pratica, un breve respiro (7);
* la mezza stanghetta (''divisio minor'') indica la fine di un membro del brano, composto da piú incisi, e rappresenta nella pratica una breve pausa (10);
* la stanghetta intera (''divisio maior'') indica il termine di un periodo musicale e coincide spesso con la fine di una frase del testo;
* la stanghetta doppia (''divisio finalis'') segna la conclusione del brano oppure l’alternanza tra coro/assemblea e solista (in particolare nei canti dell’Ordinario) (8).
 
Gli intervalli e, in misura minore, il ritmo, sono scritti mediante i '''neumi (2)'''. Ogni neuma trascrive una formula melodica corrispondente ad una sillaba; è perciò sbagliato dire che un neuma corrisponde ad una nota moderna,
poiché non necessariamente una di esse corrisponde ad una sillaba. Diversamente, un neuma trascrive sempre e comunque una sola sillaba, anche nei casi di figurazioni neumatiche assai complesse. Nella semiografia gregoriana si distinguono i seguenti neumi:
 
* il '''punctus''', unità elementare. Corrisponde alla nota isolata e ritmicamente rappresenta quasi sempre una nota di passaggio; nel genere sillabico, ove il punctus ha la prevalenza, questi assume un valore ritmico praticamente
neutro, cui si oppone solo il punctus con il punto, che ne allunga la durata. Si presenta anche in forma di losanga (''p. inclinatus'') allorché assume un ruolo subordinato di nota d’insieme;
* la '''virga''', che nelle arcaiche notazioni adiastematiche aveva un significato di innalzamento melodico, ha un ruolo fondamentale nel sorreggere e supportare il ritmo della frase segnalando due attacchi consecutivi.
Quando è seguíta da ''puncti inclinati'' per formare il ''climacus'', segna l’accento maggiore della frase;
== Note ==

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