Ordinamento Generale del Messale Romano (3° Edizione)

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Tratto da www.Vatican.va[1]

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Indice

PROEMIO

1. Cristo Signore, desiderando celebrare con i suoi discepoli il banchetto pasquale, nel quale istituì il sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue, ordinò di preparare una sala grande e addobbata (Lc 22,12). La Chiesa, quando dettava le norme per preparare gli animi, disporre i luoghi, fissare i riti e scegliere i testi per la celebrazione dell’Eucaristia, ha perciò sempre considerato quest’ordine come rivolto a se stessa.

Allo stesso modo le presenti norme, stabilite in base alle decisioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, come anche il nuovo Messale, che d’ora in poi la Chiesa di Rito romano utilizzerà per celebrare la Messa, sono una prova di questa sollecitudine della Chiesa, della sua fede e del suo amore immutato verso il grande mistero eucaristico, e testimoniano la sua continua e ininterrotta tradizione, nonostante siano state introdotte alcune novità.

Testimonianza di una fede immutata (2 - 5)

2. La natura sacrificale della Messa, solennemente affermata dal Concilio di Trento, in armonia con tutta la tradizione della Chiesa[2], è stata riaffermata dal Concilio Vaticano II, che ha pronunciato, a proposito della Messa, queste significative parole: «Il nostro Salvatore nell’ultima Cena... istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, al fine di perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e di affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione»[3].

Questo stesso insegnamento del Concilio si ritrova costantemente nelle formule della Messa. Tale dottrina infatti, enunciata con precisione in questo testo dell’antico Sacramentario detto Leoniano: «ogni volta che celebriamo il memoriale di questo sacrificio, si compie l’opera della nostra redenzione»[4], è sviluppata con chiarezza e con cura nelle Preghiere eucaristiche: in queste Preghiere, quando il sacerdote fa l’anamnesi, rivolgendosi a Dio in nome di tutto il popolo, gli rende grazie e gli offre il sacrificio vivo, santo, cioè l’oblazione della Chiesa e la vittima immolata per la nostra redenzione[5], e prega perché il Corpo e il Sangue di Cristo siano un sacrificio accetto al Padre per la salvezza del mondo intero[6].

Così, nel nuovo Messale, la norma della preghiera (lex orandi) della Chiesa corrisponde alla sua costante regola di fede (lex credendi); questa ci dice che, fatta eccezione per il modo di offrire, che è differente, vi è piena identità tra il sacrificio della croce e la sua rinnovazione sacramentale nella Messa, che Cristo Signore ha istituito nell’ultima Cena e ha ordinato agli Apostoli di celebrare in memoria di lui. Ne consegue che la Messa è insieme sacrificio di lode, d’azione di grazie, di propiziazione e di espiazione.

3. Anche il mistero mirabile della presenza reale del Signore sotto le specie eucaristiche è affermato dal Concilio Vaticano II[7] e dagli altri documenti del magistero della Chiesa[8], nel medesimo senso e con la medesima dottrina con cui il Concilio di Trento l’aveva proposto alla nostra fede[9]. Nella celebrazione della Messa, questo mistero è posto in luce non soltanto dalle parole stesse della consacrazione, che rendono Cristo presente per mezzo della transustanziazione, ma anche dal senso e dall’espressione esteriore di sommo rispetto e di adorazione di cui è fatto oggetto nel corso della Liturgia eucaristica. Per lo stesso motivo, il Giovedì santo, nella celebrazione della Cena del Signore, e nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore, il popolo cristiano è chiamato a onorare in modo particolare, con l’adorazione, questo mirabile sacramento.

4. La natura del sacerdozio ministeriale, che è proprio del Vescovo e del presbitero, in quanto offrono il sacrificio nella persona di Cristo e presiedono l’assemblea del popolo santo, è posta in luce, nella forma stessa del rito, dal posto eminente del sacerdote e dalla sua funzione. I compiti di questa funzione sono indicati e ribaditi con molta chiarezza nel prefazio della Messa crismale del Giovedì santo, giorno in cui si commemora l’istituzione del sacerdozio. Il testo sottolinea la potestà sacerdotale conferita per mezzo dell’imposizione delle mani e descrive questa medesima potestà enumerandone tutti gli uffici: è la continuazione della potestà sacerdotale di Cristo, Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza.

5. Questa natura del sacerdozio ministeriale mette a sua volta nella giusta luce un’altra realtà di grande importanza: il sacerdozio regale dei fedeli, il cui sacrificio spirituale raggiunge la sua piena realizzazione attraverso il ministero del Vescovo e dei presbiteri, in unione con il sacrificio di Cristo, unico Mediatore[10]. La celebrazione dell’Eucaristia è infatti azione di tutta la Chiesa. In essa ciascuno compie soltanto, ma integralmente, quello che gli compete, tenuto conto del posto che occupa nel popolo di Dio. È il motivo per cui si presta ora maggiore attenzione a certi aspetti della celebrazione che, nel corso dei secoli, erano stati talvolta alquanto trascurati. Questo popolo è il popolo di Dio, acquistato dal Sangue di Cristo, radunato dal Signore, nutrito con la sua Parola; popolo la cui vocazione è di far salire verso Dio le preghiere di tutta la famiglia umana; popolo che, in Cristo, rende grazie per il mistero della salvezza, offrendo il suo Sacrificio; popolo infine che, per mezzo della Comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, rafforza la sua unità. Questo popolo è già santo per la sua origine; ma in forza della sua partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa al mistero eucaristico, progredisce continuamente in santità[11].

Prova di una tradizione ininterrotta (6 - 9)

6. Nell’enunciare le norme per la revisione del rito della Messa, il Concilio Vaticano II ha ordinato, tra l’altro, che certi riti venissero «riportati all’antica tradizione dei santi Padri»[12]: sono le stesse parole usate da san Pio V nella costituzione apostolica Quo primum, con la quale nel 1570 promulgava il Messale di Trento. Anche da questa corrispondenza testuale è facile rilevare come i due Messali romani, benché separati da quattro secoli, conservino una medesima e identica tradizione. Se poi si tengono presenti gli elementi profondi di tale tradizione, non è difficile rendersi conto come il secondo Messale completi egregiamente il primo.

7. In tempi davvero difficili, nei quali la fede cattolica era stata messa in pericolo circa la natura sacrificale della Messa, il sacerdozio ministeriale, la presenza reale e permanente di Cristo sotto le specie eucaristiche, a san Pio V premeva anzitutto salvaguardare una tradizione relativamente recente ingiustamente attaccata, introducendo meno cambiamenti possibili nel sacro rito. E in verità, il Messale del 1570 si differenzia ben poco dal primo Messale stampato nel 1474; e questo, a sua volta, riprende fedelmente il Messale del tempo di Innocenzo III. Inoltre i manoscritti della Biblioteca Vaticana, anche se avevano permesso di adottare in certi casi delle lezioni migliori, non consentirono, in quella diligente ricerca di «antichi autori degni di fede», di andare al di là di quanto s’era fatto con i commentari liturgici del Medioevo.

8. Oggi, invece, questo «tradizione dei santi Padri», tenuto presente dai revisori responsabili del Messale di san Pio V, si è arricchito di innumerevoli studi di eruditi. Dopo la prima edizione del Sacramentario detto Gregoriano nel 1571, gli antichi sacramentari romani e ambrosiani sono stati oggetto di numerose edizioni critiche; lo stesso si dica degli antichi libri liturgici ispanici e gallicani, che hanno fatto riscoprire un buon numero di preghiere fino allora sconosciute, ma di non poca importanza sotto l’aspetto spirituale.

Le tradizioni dei primi secoli, anteriori alla formazione dei riti d’Oriente e d’Occidente, sono ora meglio conosciute, grazie alla scoperta di un buon numero di documenti liturgici.

Inoltre, il progresso degli studi patristici ha permesso di approfondire la teologia del mistero eucaristico attraverso l’insegnamento di Padri eminenti nell’antichità cristiana, come sant’Ireneo, sant’Ambrogio, san Cirillo di Gerusalemme, san Giovanni Crisostomo.

9. La «tradizione dei santi Padri» esige dunque che non solo si conservi la tradizione trasmessa dai nostri predecessori immediati, ma che si tenga presente e si approfondisca fin dalle origini tutto il passato della Chiesa e si faccia un’accurata indagine sui modi molteplici con cui l’unica fede si è manifestata in forme di cultura umana e profana così diverse tra loro, quali erano quelle in uso nelle regioni abitate da Semiti, Greci e Latini. Questo approfondimento più vasto ci permette di constatare come lo Spirito Santo accordi al popolo di Dio un’ammirevole fedeltà nel conservare immutato il deposito della fede, per quanto varie siano le preghiere e i riti.

Adattamento alle nuove condizioni (10 - 15)

10. Il nuovo Messale, mentre attesta la norma della preghiera della Chiesa romana e salvaguarda il deposito della fede trasmesso dai recenti concili, segna a sua volta una tappa di grande importanza nella tradizione liturgica.

Quando i Padri del Concilio Vaticano II ripresero le formulazioni dogmatiche del Concilio di Trento, le loro parole risuonarono in un’epoca ben diversa nella vita del mondo. Per questo in campo pastorale essi hanno potuto dare suggerimenti e consigli che sarebbero stati impensabili quattro secoli prima.

11. Il Concilio di Trento aveva già riconosciuto il grande valore catechetico contenuto nella celebrazione della Messa, ma non poteva trarne tutte le conseguenze pratiche. In realtà molti chiedevano che venisse concesso l’uso della lingua volgare nella celebrazione del sacrificio eucaristico. Ma dinanzi a tale richiesta il Concilio, considerate le circostanze di allora, riteneva suo dovere riaffermare la dottrina tradizionale della Chiesa, secondo la quale il sacrificio eucaristico è anzitutto azione di Cristo stesso: ne consegue che la sua efficacia non dipende affatto da come vi partecipano i fedeli. Ecco perché si espresse con queste parole decise e insieme misurate: «Benché la Messa contenga un ricco insegnamento per il popolo dei fedeli, i Padri non hanno ritenuto opportuno che venga celebrata indistintamente in lingua volgare»[13]. E condannò chi osasse affermare che «non si deve ammettere il rito della Chiesa romana, in forza del quale una parte del canone e le parole della consacrazione vengono dette a bassa voce; o che la Messa si deve celebrare soltanto in lingua volgare»[14]. Nondimeno, se da una parte proibì l’uso della lingua parlata nella Messa, dall’altra ordinò ai pastori di supplirvi con un’opportuna catechesi: «Perché il gregge di Cristo non soffra la fame... il santo Concilio ordina ai pastori e a tutti quelli che hanno cura d’anime di soffermarsi frequentemente, nel corso della celebrazione della Messa, o personalmente o per mezzo di altri, su questo o quel testo della Messa, e di spiegare, tra le altre cose, il mistero di questo santissimo Sacrificio, specialmente nelle domeniche e nei giorni festivi»[15].

12. Convocato perché la Chiesa adattasse ai nostri tempi i compiti della sua missione apostolica, il Concilio Vaticano II ha, come quello di Trento, esaminato profondamente la natura didattica e pastorale della Liturgia[16]. E poiché non v’è ormai nessun cattolico che neghi la legittimità e l’efficacia del rito compiuto in lingua latina, il Concilio ha ammesso senza difficoltà che «l’uso della lingua parlata può riuscire spesso di grande utilità per il popolo» e l’ha quindi autorizzata[17]. L’entusiasmo con cui questa decisione è stata dovunque accolta, ha portato, sotto la guida dei Vescovi e della stessa Sede Apostolica, alla concessione che tutte le celebrazioni liturgiche con partecipazione di popolo si possono fare in lingua viva, per rendere più facile la piena intelligenza del mistero celebrato.

13. Tuttavia, poiché l’uso della lingua parlata nella sacra Liturgia è soltanto uno strumento, anche se molto importante, per esprimere più chiaramente la catechesi del mistero contenuto nella celebrazione, il Concilio Vaticano II ha insistito perché si mettessero in pratica certe prescrizioni del Concilio di Trento che non erano state dovunque osservate, come il dovere di fare l’omelia nelle domeniche e nei giorni festivi[18]; e la possibilità di intercalare ai riti determinate monizioni[19]. Soprattutto, però, il Concilio Vaticano II, nel consigliare «quella partecipazione perfetta alla Messa, per la quale i fedeli, dopo la Comunione del sacerdote, ricevono il Corpo del Signore dal medesimo sacrificio»[20], ha portato al compimento di un altro voto dei Padri tridentini, che, cioè, per partecipare più pienamente all’Eucaristia, «nelle singole Messe i presenti si comunicassero non solo con l’intimo fervore dell’anima, ma anche con la recezione sacramentale dell’Eucaristia»[21].

14. Mosso dal medesimo spirito e dallo stesso zelo pastorale, il Concilio Vaticano II ha potuto riesaminare le decisioni di Trento a proposito della Comunione sotto le due specie. Poiché attualmente nessuno mette in dubbio i principi dottrinali sul pieno valore della Comunione sotto la sola specie del pane, il Concilio ha permesso in alcuni casi la Comunione sotto le due specie, con la quale, grazie alla forma più chiara del segno sacramentale, si ha modo di penetrare più profondamente il mistero al quale i fedeli partecipano[22].

15. In questo modo, mentre la Chiesa rimane fedele al suo compito di maestra di verità, conservando «le cose vecchie» cioè il deposito della tradizione, assolve pure il suo compito di esaminare e adottare con prudenza «le cose nuove» (Cf. Mt 13,52).

Una parte del nuovo Messale adegua più visibilmente le preghiere della Chiesa ai bisogni del nostro tempo. Tali sono specialmente le Messe rituali e quelle per varie necessità, nelle quali si fondono felicemente tradizione e novità. Pertanto, mentre sono rimaste intatte molte espressioni attinte alla più antica tradizione della Chiesa e rese familiari dallo stesso Messale romano nelle sue varie edizioni, molte altre sono state adattate alle esigenze e alle condizioni attuali. Altre infine, come le orazioni per la Chiesa, per i laici, per la santificazione del lavoro umano, per l’unione di tutti i popoli e per certe necessità proprie del nostro tempo, sono state interamente composte ex novo, traendo i pensieri e spesso anche i termini dai recenti documenti conciliari.

Così pure, in vista di una presa di coscienza della situazione nuova del mondo contemporaneo, è sembrato che non si recasse offesa alcuna al venerabile tesoro della tradizione, modificando alcune espressioni dei testi antichi, allo scopo di meglio armonizzare la lingua con quella della teologia attuale e perché esprimessero in verità la presente situazione della disciplina della Chiesa. Per questo motivo sono stati cambiati alcuni modi di esprimersi, che risentivano di una certa mentalità sull’apprezzamento e sull’uso dei beni terrestri, e altri ancora che mettevano in rilievo una forma di penitenza esteriore propria della Chiesa di altri tempi.

Le norme liturgiche del Concilio di Trento sono state, dunque, su molti punti, completate e integrate dalle norme del Concilio Vaticano II; il Concilio ha così condotto a termine gli sforzi fatti per accostare i fedeli alla Liturgia, sforzi condotti per quattro secoli e con più intensità in un’epoca recente, grazie soprattutto allo zelo liturgico promosso da san Pio X e dai suoi successori.

Capitolo I - IMPORTANZA E DIGNITÀ DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA (16 - 26)

16. La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale, e per i singoli fedeli[23]. Nella Messa, infatti, si ha il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono al Padre, adorandolo per mezzo di Cristo Figlio di Dio nello Spirito Santo[24]. In essa inoltre la Chiesa commemora, nel corso dell’anno, i misteri della redenzione, in modo da renderli in certo modo presenti[25]. Tutte le altre azioni sacre e ogni attività della vita cristiana sono in stretta relazione con la Messa, da essa derivano e ad essa sono ordinate[26].

17. È perciò di somma importanza che la celebrazione della Messa, o Cena del Signore, sia ordinata in modo tale che i sacri ministri e i fedeli, partecipandovi ciascuno secondo il proprio ordine e grado, traggano abbondanza di quei frutti[27], per il conseguimento dei quali Cristo Signore ha istituito il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue e lo ha affidato, come memoriale della sua passione e risurrezione, alla Chiesa, sua dilettissima sposa[28].

18. Si potrà ottenere davvero questo risultato, se, tenuto conto della natura e delle altre caratteristiche di ogni assemblea liturgica, tutta la celebrazione verrà ordinata in modo tale da portare i fedeli a una partecipazione consapevole, attiva e piena, esteriore e interiore, ardente di fede, speranza e carità; partecipazione vivamente desiderata dalla Chiesa e richiesta dalla natura stessa della celebrazione, e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del battesimo[29].

19. Non sempre si possono avere la presenza e l’attiva partecipazione dei fedeli, che manifestano più chiaramente la natura ecclesiale della celebrazione[30]. Sempre però la celebrazione eucaristica ha l’efficacia e la dignità che le sono proprie, in quanto è azione di Cristo e della Chiesa, nella quale il sacerdote compie il suo ministero specifico e agisce sempre per la salvezza del popolo.

Perciò a lui si raccomanda di celebrare anche ogni giorno, avendone la possibilità, il sacrificio eucaristico[31].

20. Poiché inoltre la celebrazione dell’Eucaristia, come tutta la Liturgia, si compie per mezzo di segni sensibili, mediante i quali la fede si alimenta, s’irrobustisce e si esprime[32], si deve avere la massima cura nello scegliere e nel disporre quelle forme e quegli elementi che la Chiesa propone, e che, considerate le circostanze di persone e di luoghi, possono favorire più intensamente la partecipazione attiva e piena, e rispondere più adeguatamente al bene spirituale dei fedeli.

21. Pertanto questa Introduzione si propone di esporre i principi generali per l’ordinamento della celebrazione dell’Eucaristia, e di presentare le norme per regolare le singole forme di celebrazione[33].

22. Ora, nella Chiesa particolare, la celebrazione dell’Eucaristia è l’atto più importante.

Il Vescovo diocesano infatti, primo dispensatore dei misteri di Dio nella Chiesa particolare a lui affidata, è la guida, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica[34]. Nelle celebrazioni che si compiono sotto la sua presidenza, soprattutto in quella eucaristica, celebrata con la partecipazione del presbiterio, dei diaconi e del popolo, si manifesta il mistero della Chiesa. Perciò questo tipo di celebrazione eucaristica deve fungere da modello per tutta la diocesi.

Deve essere quindi impegno del Vescovo fare in modo che i presbiteri, i diaconi e i fedeli comprendano sempre più il senso autentico dei riti e dei testi liturgici e così siano condotti ad una attiva e fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia. Allo stesso fine presti attenzione perché cresca la dignità delle medesime celebrazioni. A questo scopo risulta di grande importanza promuovere la cura per la bellezza del luogo sacro, della musica e dell’arte.

23. Inoltre, perché la celebrazione corrisponda maggiormente alle norme e allo spirito della sacra Liturgia e se ne avvantaggi l’efficacia pastorale, in questa Introduzione generale e nel Rito della Messa vengono esposti le scelte e gli adattamenti possibili.

24. Questi adattamenti, che per lo più consistono nella scelta di alcuni riti o testi, cioè di canti, letture, orazioni, monizioni e gesti che siano più rispondenti alle necessità, alla preparazione e alla capacità di comprensione dei partecipanti, spettano al sacerdote celebrante. Tuttavia, il sacerdote ricordi di essere il servitore della sacra Liturgia e che nella celebrazione della Messa a lui non è consentito aggiungere, togliere o mutare nulla a proprio piacimento[35].

25. Inoltre, nel Messale, a suo luogo sono indicati alcuni adattamenti che, secondo la Costituzione sulla sacra Liturgia, competono rispettivamente al Vescovo diocesano o alla Conferenza Episcopale[36] (Cf. nn. 387, 388-393).

26. Per quanto riguarda le variazioni e gli adattamenti più profondi, rispondenti alle tradizioni e alla cultura di popoli e regioni, e da introdurre per utilità o necessità secondo l’art. 40 della Costituzione sulla sacra Liturgia, si osservi quanto è stabilito nell’Istruzione «Liturgia Romana e inculturazione»[37] e ai numeri 395-399 del presente documento (nn. 395-399).

Capitolo II - STRUTTURA, ELEMENTI E PARTI DELLA MESSA

I. STRUTTURA GENERALE DELLA MESSA (27 - 28)

27. Nella Messa o Cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico[38]. Per questo raduno locale della santa Chiesa vale perciò in modo eminente la promessa di Cristo: «Là dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). Infatti nella celebrazione della Messa, nella quale si perpetua il sacrificio della croce[39], Cristo è realmente presente nell’assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche[40].

28. La Messa è costituita da due parti, la «Liturgia della Parola» e la «Liturgia eucaristica»; esse sono così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto[41]. Nella Messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro[42]. Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione.

II. I DIVERSI ELEMENTI DELLA MESSA (29 - 45)

= Lettura della parola di Dio e sua spiegazione

29. Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il Vangelo.

Per questo tutti devono ascoltare con venerazione le letture della parola di Dio, che costituiscono un elemento importantissimo della Liturgia. E benché la parola di Dio nelle letture della sacra Scrittura sia rivolta a tutti gli uomini di ogni epoca e sia da essi intelligibile, tuttavia una sua più piena comprensione ed efficacia viene favorita da un’esposizione viva e attuale, cioè dall’omelia, che è parte dell’azione liturgica[43].

Le orazioni e le altre parti che spettano al sacerdote

30. Tra le parti proprie del sacerdote, occupa il primo posto la Preghiera eucaristica, culmine di tutta la celebrazione. Seguono poi le orazioni, cioè: l’orazione di inizio (o colletta), l’orazione sulle offerte e l’orazione dopo la Comunione. Queste preghiere, dette dal sacerdote nella sua qualità di presidente dell’assemblea nella persona di Cristo, sono rivolte a Dio a nome dell’intero popolo santo e di tutti i presenti[44]. Perciò giustamente si chiamano «orazioni presidenziali».

31. Spetta ugualmente al sacerdote, per il suo ufficio di presidente dell’assemblea radunata, formulare alcune monizioni previste nel rito medesimo. Quando è previsto dalle rubriche, al celebrante è permesso adattarle in parte affinché rispondano alla comprensione dei partecipanti. Tuttavia il sacerdote faccia in modo di conservare sempre il senso della monizione proposta nel Messale e la esprima con poche parole. Così pure spetta al sacerdote che presiede guidare la proclamazione della parola di Dio e impartire la benedizione finale. Egli può inoltre intervenire con brevissime parole, per introdurre i fedeli alla Messa del giorno, dopo il saluto iniziale e prima dell’atto penitenziale; alla Liturgia della Parola, prima delle letture; alla Preghiera eucaristica, prima di iniziare il prefazio, naturalmente mai nel corso della Preghiera stessa; prima del congedo, per concludere l’intera azione sacra.

32. La natura delle parti «presidenziali» esige che esse siano proferite a voce alta e chiara e che siano ascoltate da tutti con attenzione[45]. Perciò, mentre il sacerdote le dice, non si devono sovrapporre altre orazioni o canti, e l’organo e altri strumenti musicali devono tacere.

33. Il sacerdote infatti, in quanto presidente, formula le preghiere a nome della Chiesa e della comunità riunita, talvolta invece anche a titolo personale, per poter compiere il proprio ministero con maggior attenzione e pietà. Tali preghiere, che sono proposte prima della proclamazione del Vangelo, alla preparazione dei doni, prima e dopo la Comunione del sacerdote, si dicono sottovoce.

Altre formule che ricorrono nella celebrazione

34. Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura, ha carattere «comunitario»[46], grande rilievo assumono i dialoghi tra il sacerdote e i fedeli riuniti e le acclamazioni[47]. Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono e realizzano la comunione tra il sacerdote e il popolo.

35. Le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti devono porre in atto in ogni forma di Messa, per esprimere e ravvivare l’azione di tutta la comunità[48].

36. Altre parti, assai utili per manifestare e favorire la partecipazione attiva dei fedeli, spettano all’intera assemblea convocata; sono soprattutto l’atto penitenziale, la professione di fede, la preghiera universale (detta anche preghiera dei fedeli) e la preghiera del Signore (cioè il Padre nostro).

37. Infine, tra le altre formule:

a) alcune costituiscono un rito o un atto a sé stante, come l’inno Gloria, il salmo responsoriale, l’Alleluia e il versetto prima del Vangelo (canto al Vangelo), il Santo, l’acclamazione dell’anamnesi e il canto dopo la Comunione;

b) altre, invece, accompagnano qualche rito, come i canti d’ingresso, di offertorio, quelli che accompagnano la frazione del pane (Agnello di Dio) e la Comunione.

Il modo di proclamare i vari testi

38. Nei testi che devono essere pronunziati a voce alta e chiara dal sacerdote, dal diacono, dal lettore o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo, secondo che si tratti di una lettura, di un’orazione, di una monizione, di un’acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica. Inoltre si tenga conto delle caratteristiche delle diverse lingue e della cultura specifica di ogni popolo.

Nelle rubriche e nelle norme che seguono, le parole «dire» oppure «proclamare» devono essere intese in riferimento sia al canto che alla recita, tenuto conto dei principi sopra esposti.

Importanza del canto

39. I fedeli che si radunano nell’attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall’apostolo a cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali (Cf. Col 3,16). Infatti il canto è segno della gioia del cuore (Cf. At 2,46). Perciò dice molto bene sant’Agostino: «Il cantare è proprio di chi ama»[49], e già dall’antichità si formò il detto: «Chi canta bene, prega due volte».

40. Nella celebrazione della Messa si dia quindi grande importanza al canto, ponendo attenzione alla diversità culturale delle popolazioni e alle possibilità di ciascuna assemblea liturgica. Anche se non è sempre necessario, per esempio nelle Messe feriali, cantare tutti i testi che per loro natura sono destinati al canto, si deve comunque fare in modo che non manchi il canto dei ministri e del popolo nelle celebrazioni domenicali e nelle feste di precetto.

Nella scelta delle parti destinate al canto, si dia la preferenza a quelle di maggior importanza, e soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote, dal diacono o dal lettore con la risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme[50].

41. A parità condizioni, si dia la preferenza al canto gregoriano, in quanto proprio della Liturgia romana. Gli altri generi di musica sacra, specialmente la polifonia, non sono affatto da escludere, purché rispondano allo spirito dell’azione liturgica e favoriscano la partecipazione di tutti i fedeli[51].

Poiché sono sempre più frequenti le riunioni di fedeli di diverse nazionalità, è opportuno che sappiano cantare insieme, in lingua latina, e nelle melodie più facili, almeno le parti dell’ordinario della Messa, specialmente il simbolo della fede e la preghiera del Signore[52].

Gesti e atteggiamenti del corpo

42. I gesti e l’atteggiamento del corpo sia del sacerdote, del diacono e dei ministri, sia del popolo devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, che si colga il vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti[53]. Si dovrà prestare attenzione affinché le norme stabilite da questa Introduzione generale e dalla prassi secolare del Rito romano, contribuiscano al bene spirituale comune del popolo di Dio, più che al gusto personale o all’arbitrio.

L’atteggiamento comune del corpo, da osservarsi da tutti i partecipanti, è segno dell’unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la sacra Liturgia: manifesta infatti e favorisce l’intenzione e i sentimenti dell’animo di coloro che partecipano.

43. I fedeli stiano in piedi dall’inizio del canto di ingresso, o mentre il sacerdote si reca all’altare, fino alla conclusione dell’orazione di inizio (o colletta), durante il canto dell’Alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo; durante la professione di fede e la preghiera universale (o preghiera dei fedeli); e ancora dall’invito Pregate fratelli prima dell’orazione sulle offerte fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito.

Stiano invece seduti durante la proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il salmo responsoriale; all’omelia e durante la preparazione dei doni all’offertorio; se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la Comunione.

S’inginocchino poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano lo stato di salute, la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri ragionevoli motivi. Quelli che non si inginocchiano alla consacrazione, facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopo la consacrazione.

Spetta però alle Conferenze Episcopali adattare i gesti e gli atteggiamenti del corpo, descritti nel Rito della Messa, alla cultura e alle ragionevoli tradizioni dei vari popoli secondo le norme del diritto[54]. Nondimeno si faccia in modo che tali adattamenti corrispondano al senso e al carattere di ciascuna parte della celebrazione. Dove vi è la consuetudine che il popolo rimanga in ginocchio dall’acclamazione del Santo fino alla conclusione della Preghiera eucaristica e prima della Comunione, quando il sacerdote dice Ecco l’Agnello di Dio, tale uso può essere lodevolmente conservato.

Per ottenere l’uniformità nei gesti e negli atteggiamenti del corpo in una stessa celebrazione, i fedeli seguano le indicazioni che il diacono o un altro ministro laico o lo stesso sacerdote danno secondo le norme stabilite nel Messale.

44. Fra i gesti sono comprese anche le azioni e le processioni: quella del sacerdote che, insieme al diacono e ai ministri, si reca all’altare; quella del diacono che porta all’ambone l’Evangeliario o il Libro dei Vangeli prima della proclamazione del Vangelo; quella con la quale i fedeli presentano i doni o si recano a ricevere la Comunione. Conviene che tali azioni e processioni siano fatte in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le norme stabilite per ognuna di esse.

Il silenzio

45. Si deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione[55]. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica.

Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia e nel luogo dove si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione.

III. LE SINGOLE PARTI DELLA MESSA (46 - 90)

A) Riti di introduzione (46 - 54)

46. I riti che precedono la Liturgia della Parola, cioè l’introito, il saluto, l’atto penitenziale, il Kyrie eleison, il Gloria e l’orazione (o colletta), hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione.

Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia.

In alcune celebrazioni, connesse con la Messa secondo le norme dei libri liturgici, si omettono i riti iniziali o si svolgono in maniera particolare.

L’introito

47. Quando il popolo è radunato, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con il diacono e i ministri, si inizia il canto d’ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri.

48. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia l’antifona con il suo salmo, quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale simplex, oppure un altro canto adatto all’azione sacra, al carattere del giorno o del tempo[56], e il cui testo sia stato approvato dalla Conferenza Episcopale.

Se all’introito non ha luogo il canto, l’antifona proposta dal Messale romano viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o altrimenti dallo stesso sacerdote che può anche adattarla a modo di monizione iniziale (Cf. n. 31).

Saluto all’altare e al popolo radunato

49. Giunti in presbiterio, il sacerdote, il diacono e i ministri salutano l’altare con un profondo inchino.

Quindi, in segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano e il sacerdote, secondo l’opportunità, incensa la croce e l’altare.

50. Terminato il canto d’ingresso, il sacerdote, stando in piedi alla sede, con tutta l’assemblea si segna col segno di croce. Poi il sacerdote con il saluto annunzia alla comunità radunata la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata.

Salutato il popolo, il sacerdote, o il diacono o un ministro laico, può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno.

Atto penitenziale

51. Quindi il sacerdote invita all’atto penitenziale, che, dopo una breve pausa di silenzio, viene compiuto da tutta la comunità mediante una formula di confessione generale, e si conclude con l’assoluzione del sacerdote, che tuttavia non ha lo stesso valore del sacramento della Penitenza.

La domenica, specialmente nel tempo pasquale, in circostanze particolari, si può sostituire il consueto atto penitenziale con la benedizione e l’aspersione dell’acqua in memoria del Battesimo[57].

Kyrie eleison

52. (= 30) Dopo l’atto penitenziale ha sempre luogo il Kyrie eleison, a meno che non sia già stato detto durante l’atto penitenziale. Essendo un canto col quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia, di solito viene eseguito da tutti, in alternanza tra il popolo e la schola o un cantore.

Ogni acclamazione viene ripetuta normalmente due volte, senza escluderne tuttavia un numero maggiore, in considerazione dell’indole delle diverse lingue o della composizione musicale o di circostanze particolari. Quando il Kyrie eleison viene cantato come parte dell’atto penitenziale, alle singole acclamazioni si fa precedere un «tropo».

Gloria

53. Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello. Il testo di questo inno non può essere sostituito con un altro. Viene iniziato dal sacerdote o, secondo l’opportunità, dal cantore o dalla schola, ma viene cantato o da tutti simultaneamente o dal popolo alternativamente con la schola, oppure dalla stessa schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, o insieme o da due cori che si alternano.

Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in celebrazioni di particolare solennità.

Colletta

54. Poi il sacerdote invita il popolo a pregare e tutti insieme con lui stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e poter formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera. Quindi il sacerdote dice l’orazione, chiamata comunemente «colletta», per mezzo della quale viene espresso il carattere della celebrazione. Per antica tradizione della Chiesa, l’orazione colletta è abitualmente rivolta a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo[58] e termina con la conclusione trinitaria, cioè più lunga, in questo modo:

- se è rivolta al Padre: Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;

- se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell’orazione medesima si fa menzione del Figlio: Egli è Dio e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;

- se è rivolta al Figlio: Tu sei Dio e vivi e regni con Dio Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l’orazione con l’acclamazione Amen.

Nella Messa si dice sempre una sola colletta.

B) Liturgia della Parola (55 - 71)

55. Le letture scelte dalla sacra Scrittura con i canti che le accompagnano costituiscono la parte principale della Liturgia della Parola; l’omelia, la professione di fede e la preghiera universale o preghiera dei fedeli sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle letture, che vengono poi spiegate nell’omelia, Dio parla al suo popolo[59], gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua parola, tra i fedeli[60]. Il popolo fa propria questa parola divina con il silenzio e i canti, e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito, prega nell’orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero.

Il silenzio

56. La Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono osservare, ad esempio, prima che inizi la stessa Liturgia della Parola, dopo la prima e la seconda lettura, e terminata l’omelia[61].

Le letture bibliche

57. Nelle letture viene preparata ai fedeli la mensa della parola di Dio e vengono loro aperti i tesori della Bibbia[62]. Conviene quindi che si osservi l’ordine delle letture bibliche, con il quale è messa meglio in luce l’unità dei due Testamenti e della storia della salvezza; non è permesso quindi sostituire con altri testi non biblici le letture e il salmo responsoriale, che contengono la parola di Dio[63].

58. Nella celebrazione della Messa con il popolo, le letture si proclamano sempre dall’ambone.

59. Il compito di proclamare le letture, secondo la tradizione, non è competenza specifica di colui che presiede, ma di altri ministri. Le letture quindi siano proclamate da un lettore, il Vangelo sia invece proclamato dal diacono o, in sua assenza, da un altro sacerdote. Se non è presente un diacono o un altro sacerdote, lo stesso sacerdote celebrante legga il Vangelo; e se manca un lettore idoneo, il sacerdote celebrante proclami anche le altre letture.

Dopo le singole letture il lettore pronuncia l’acclamazione e il popolo riunito con la sua risposta dà onore alla parola di Dio, accolta con fede e con animo grato.

60. La lettura del Vangelo costituisce il culmine della Liturgia della Parola. La stessa Liturgia insegna che si deve dare ad essa massima venerazione, poiché la distingue dalle altre letture con particolare onore: sia da parte del ministro incaricato di proclamarla, che si prepara con la benedizione o con la preghiera; sia da parte dei fedeli, i quali con le acclamazioni riconoscono e professano che Cristo è presente e parla a loro, e ascoltano la lettura stando in piedi; sia per mezzo dei segni di venerazione che si rendono all’Evangeliario.

Il Salmo responsoriale

61. Alla prima lettura segue il salmo responsoriale, che è parte integrante della Liturgia della Parola e che ha grande valore liturgico e pastorale, perché favorisce la meditazione della parola di Dio.

Il salmo responsoriale deve corrispondere a ciascuna lettura e deve essere preso normalmente dal Lezionario.

Conviene che il salmo responsoriale si esegua con il canto, almeno per quanto riguarda la risposta del popolo. Il salmista, quindi, o cantore del salmo canta o recita i versetti del salmo all’ambone o in altro luogo adatto; tutta l’assemblea ascolta restando seduta, e partecipa di solito con il ritornello, a meno che il salmo non sia cantato o recitato per intero senza ritornello. Ma perché il popolo possa più facilmente ripetere il ritornello, sono stati scelti alcuni testi comuni di ritornelli e di salmi per i diversi tempi dell’anno e per le diverse categorie di Santi. Questi testi si possono utilizzare al posto di quelli corrispondenti alle letture ogni volta che il salmo viene cantato. Se il salmo non può essere cantato, venga proclamato nel modo più adatto a favorire la meditazione della parola di Dio.

Al posto del salmo assegnato nel Lezionario si può cantare o il responsorio graduale tratto dal Graduale romanum, oppure un salmo responsoriale o alleluiatico dal Graduale simplex, così come sono indicati nei rispettivi libri.

L’acclamazione prima della lettura del Vangelo

62. Dopo la lettura che precede immediatamente il Vangelo, si canta l’Alleluia o un altro canto stabilito dalle rubriche, come richiede il tempo liturgico. Tale acclamazione costituisce un rito o atto a sé stante, con il quale l’assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo e con il canto manifesta la propria fede. Viene cantato da tutti stando in piedi, sotto la guida della schola o del cantore, e se il caso lo richiede, si ripete; il versetto invece viene cantato dalla schola o dal cantore.

a) L’Alleluia si canta in qualsiasi tempo, tranne in Quaresima. I versetti si scelgono dal Lezionario oppure dal Graduale.

b) In tempo di Quaresima, al posto dell’Alleluia si canta il versetto posto nel Lezionario prima del Vangelo. Si può anche cantare un altro salmo o tratto, come si trova nel Graduale.

63. Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:

a) nel tempo in cui si canta l’Alleluia, si può utilizzare o il salmo alleluiatico, oppure il salmo e l’Alleluia con il suo versetto,

b) nel tempo in cui non si canta l’Alleluia, si può eseguire o il salmo e il versetto prima del Vangelo o il salmo soltanto.

c) l’Alleluia e il versetto prima del Vangelo, se non si cantano, si possono tralasciare.

64. La Sequenza, che, tranne nei giorni di Pasqua e Pentecoste, è facoltativa, si canta prima dell’Alleluia.

L’omelia

65. L’omelia fa parte della liturgia ed è vivamente raccomandata[64]: è infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Essa deve consistere nella spiegazione o di qualche aspetto delle letture della sacra Scrittura, o di un altro testo dell’Ordinario o del Proprio della Messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta[65].

66. L’omelia di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote celebrante. Talvolta, potrà essere da lui affidata a un sacerdote concelebrante e, secondo l’opportunità, anche al diacono; mai però a un laico[66]. In casi particolari e per un giusto motivo l’omelia può essere tenuta anche dal Vescovo o da un presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non può concelebrare.

Nelle domeniche e nelle feste di precetto l’omelia si deve tenere e non può essere omessa se non per un grave motivo in tutte le Messe con partecipazione di popolo. Negli altri giorni è raccomandata, specialmente nelle ferie di Avvento, di Quaresima e del tempo pasquale; così pure nelle altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso il concorso del popolo alla chiesa[67].

È opportuno, dopo l’omelia, osservare un breve momento di silenzio.

La professione di fede

67. Il simbolo, o professione di fede, ha come fine che tutto il popolo riunito risponda alla parola di Dio, proclamata nella lettura della sacra Scrittura e spiegata nell’omelia; e perché, recitando la regola della fede, con una formula approvata per l’uso liturgico, torni a meditare e professi i grandi misteri della fede, prima della loro celebrazione nell’Eucaristia.

68. Il simbolo deve essere cantato o recitato dal sacerdote insieme con il popolo nelle domeniche e nelle solennità; si può dire anche in particolari celebrazioni più solenni.

Se si proclama in canto, viene intonato dal sacerdote o, secondo l’opportunità, dal cantore o dalla schola; ma viene cantato da tutti insieme o dal popolo alternativamente con la schola.

Se non si canta, viene recitato da tutti insieme o a cori alterni.

La preghiera universale

69. Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo, risponde in certo modo alla parola di Dio accolta con fede e, esercitando il proprio sacerdozio battesimale, offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti. È conveniente che nelle Messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera, nella quale si elevino suppliche per la santa Chiesa, per i governanti, per coloro che portano il peso di varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo[68].

70. La successione delle intenzioni sia ordinariamente questa:

a) per le necessità della Chiesa;

b) per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo;

c) per quelli che si trovano in difficoltà;

d) per la comunità locale.

Tuttavia in qualche celebrazione particolare, per esempio nella Confermazione, nel Matrimonio, nelle Esequie, la successione delle intenzioni può venire adattata maggiormente alla circostanza particolare.

71. Spetta al sacerdote celebrante guidare dalla sede la preghiera. Egli la introduce con una breve monizione, per invitare i fedeli a pregare, e la conclude con un’orazione. Le intenzioni che vengono proposte siano sobrie, formulate con una sapiente libertà e con poche parole, ed esprimano le intenzioni di tutta la comunità.

Le intenzioni si leggono dall’ambone o da altro luogo conveniente, da parte del diacono o del cantore o del lettore o da un fedele laico[69].

Il popolo invece, stando in piedi, esprime la sua supplica con una invocazione comune dopo la formulazione di ogni singola intenzione, oppure pregando in silenzio.

C) Liturgia eucaristica

72.Nell’ultima Cena Cristo istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo del quale è reso continuamente presente nella Chiesa il sacrificio della croce, allorché il sacerdote, che rappresenta Cristo Signore, compie ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli, perché lo facessero in memoria di lui[70].

Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il pane e li diede ai suoi discepoli, dicendo: «Prendete, mangiate, bevete; questo è il mio Corpo; questo è il calice del mio Sangue. Fate questo in memoria di me». Perciò la Chiesa ha disposto tutta la celebrazione della Liturgia eucaristica in vari momenti, che corrispondono a queste parole e gesti di Cristo. Infatti:

1) Nella preparazione dei doni, vengono portati all’altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani.

2) Nella Preghiera eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l’opera della salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.

3) Mediante la frazione del pane e per mezzo della Comunione i fedeli, benché molti, si cibano del Corpo del Signore dall’unico pane e ricevono il suo Sangue dall’unico calice, allo stesso modo con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso.

La preparazione dei doni

73. All’inizio della Liturgia eucaristica si portano all’altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo.

Prima di tutto si prepara l’altare, o mensa del Signore, che è il centro di tutta la Liturgia eucaristica[71], ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il Messale e il calice, se non viene preparato alla credenza.

Poi si portano le offerte: è bene che i fedeli presentino il pane e il vino; il sacerdote, o il diacono, li riceve in luogo opportuno e adatto e li depone sull’altare. Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla Liturgia, tuttavia il rito della presentazione di questi doni conserva il suo valore e il suo significato spirituale.

Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica.

74. Il canto all’offertorio (Cf. n. 37, b) accompagna la processione con la quale si portano i doni; esso si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull’altare. Le norme che regolano questo canto sono le stesse previste per il canto d’ingresso (Cfr. n. 48).

È sempre possibile accompagnare con il canto i riti offertoriali, anche se non si svolge la processione con i doni.

75. Il sacerdote depone il pane e il vino sull’altare pronunciando le formule prescritte; egli può incensare i doni posti sull’altare, quindi la croce e lo stesso altare, per significare che l’offerta della Chiesa e la sua preghiera si innalzano come incenso al cospetto di Dio. Dopo l’incensazione dei doni e dell’altare, anche il sacerdote, in ragione del sacro ministero, e il popolo, per la sua dignità battesimale, possono ricevere l’incensazione dal diacono o da un altro ministro.

76. Quindi il sacerdote si lava le mani a lato dell’altare; con questo rito si esprime il desiderio di purificazione interiore.

L’orazione sulle offerte

77. Deposte le offerte sull’altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote invita i fedeli a unirsi a lui nella preghiera e pronunzia l’orazione sulle offerte: si conclude così la preparazione dei doni e ci si prepara alla Preghiera eucaristica.

Nella Messa si dice un’unica orazione sulle offerte, che si conclude con la formula breve: Per Cristo nostro Signore; se invece essa termina con la menzione del Figlio: Egli vive e regna nei secoli dei secoli.

Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l’orazione con l’acclamazione Amen.

La Preghiera eucaristica

78. A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione, la Preghiera eucaristica, ossia la preghiera di azione di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo. Il significato di questa Preghiera è che tutta l’assemblea dei fedeli si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio. La Preghiera eucaristica esige che tutti l’ascoltino con riverenza e silenzio.

79. Gli elementi principali di cui consta la Preghiera eucaristica si possono distinguere come segue:

a) L’azione di grazie (che si esprime particolarmente nel prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l’opera della salvezza o per qualche suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del Tempo.

b) L’acclamazione: tutta l’assemblea, unendosi alle creature celesti, canta il Santo. Questa acclamazione, che fa parte della Preghiera eucaristica, è proclamata da tutto il popolo col sacerdote.

c) L’epiclesi: la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza dello Spirito Santo, perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella Comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno.

d) Il racconto dell’istituzione e la consacrazione: mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’ultima Cena, quando offrì il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, li diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero.

e) L’anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli Apostoli, celebra il memoriale di Cristo, commemorando specialmente la sua beata passione, la gloriosa risurrezione e l’ascensione al cielo.

f) L’offerta: nel corso di questo stesso memoriale la Chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata. La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma imparino anche ad offrire se stessi[72] e così portino a compimento ogni giorno di più, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti[73].

g) Le intercessioni: con esse si esprime che l’Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrena, e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla salvezza ottenuta per mezzo del Corpo e del Sangue di Cristo.

h) La dossologia finale: con essa si esprime la glorificazione di Dio; viene ratificata e conclusa con l’acclamazione del popolo: Amen.

Riti di Comunione

80. Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale. A questo mirano la frazione del pane e gli altri riti preparatori, che dispongono immediatamente i fedeli alla Comunione.

Preghiera del Signore

81. Nella Preghiera del Signore si chiede il pane quotidiano, nel quale i cristiani scorgono un particolare riferimento al pane eucaristico, e si implora la purificazione dai peccati, così che realmente i santi doni vengano dati ai santi. Il sacerdote rivolge l’invito alla preghiera, che tutti i fedeli dicono insieme con lui; ma soltanto il sacerdote vi aggiunge l’embolismo, che il popolo conclude con la dossologia. L’embolismo, sviluppando l’ultima domanda della preghiera del Signore, chiede per tutta la comunità dei fedeli la liberazione dal potere del male.

L’invito, la preghiera del Signore, l’embolismo e la dossologia, con la quale il popolo conclude l’embolismo, si cantano o si dicono ad alta voce.

Rito della pace

82. Segue il rito della pace, con il quale la Chiesa implora la pace e l’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana, e i fedeli esprimono la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento.

Spetta alle Conferenze Episcopali stabilire il modo di compiere questo gesto di pace secondo l’indole e le usanze dei popoli. Conviene tuttavia che ciascuno dia la pace soltanto a chi gli sta più vicino, in modo sobrio.

Frazione del pane

83. Il sacerdote spezza il pane eucaristico, con l’aiuto, se è necessario, del diacono o di un concelebrante. Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell’ultima Cena, che sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l’azione eucaristica, significa che i molti fedeli, nella Comunione dall’unico pane di vita, che è il Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo (1 Cor 10, 17). La frazione del pane ha inizio dopo lo scambio di pace e deve essere compiuta con il necessario rispetto, senza però che si protragga oltre il tempo dovuto e le si attribuisca esagerata importanza. Questo rito è riservato al sacerdote e al diacono.

Il sacerdote spezza il pane e mette una parte dell’ostia nel calice, per significare l’unità del Corpo e del Sangue di Cristo nell’opera della salvezza, cioè del Corpo di Cristo Gesù vivente e glorioso. Abitualmente l’invocazione Agnello di Dio viene cantata dalla schola o dal cantore, con la risposta del popolo, oppure la si dice almeno ad alta voce. L’invocazione accompagna la frazione del pane, perciò la si può ripetere tanto quanto è necessario fino alla conclusione del rito. L’ultima invocazione termina con le parole dona a noi la pace.

Comunione

84. Il sacerdote si prepara con una preghiera silenziosa a ricevere con frutto il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo stesso fanno i fedeli pregando in silenzio.

Quindi il sacerdote mostra ai fedeli il pane eucaristico sulla patena o sul calice e li invita al banchetto di Cristo; poi insieme con loro esprime sentimenti di umiltà, servendosi delle prescritte parole evangeliche.

85. Si desidera vivamente che i fedeli, come anche il sacerdote è tenuto a fare, ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa Messa e, nei casi previsti, facciano la Comunione al calice (Cf. n. 284), perché anche per mezzo dei segni, la Comunione appaia meglio come partecipazione al sacrificio in atto[74].

86. Mentre il sacerdote assume il Sacramento, si inizia il canto di Comunione: con esso si esprime, mediante l’accordo delle voci, l’unione spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta la gioia del cuore e si pone maggiormente in luce il carattere “comunitario” della processione di coloro che si accostano a ricevere l’Eucaristia. Il canto si protrae durante la distribuzione del Sacramento ai fedeli[75]. Se però è previsto che dopo la Comunione si esegua un inno, il canto di Comunione s’interrompa al momento opportuno.

Si faccia in modo che anche i cantori possano ricevere agevolmente la Comunione.

87. Per il canto alla Comunione si può utilizzare o l’antifona del Graduale romanum, con o senza salmo, o l’antifona col salmo del Graduale simplex, oppure un altro canto adatto, approvato dalla Conferenza Episcopale. Può essere cantato o dalla sola schola, o dalla schola o dal cantore insieme col popolo.

Se invece non si canta, l’antifona alla Comunione proposta dal Messale può essere recitata o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, altrimenti dallo stesso sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di distribuire la Comunione ai fedeli.

88. Terminata la distribuzione della Comunione, il sacerdote e i fedeli, secondo l’opportunità, pregano per un po’ di tempo in silenzio. Tutta l’assemblea può anche cantare un salmo, un altro cantico di lode o un inno.

89. Per completare la preghiera del popolo di Dio e anche per concludere tutto il rito di Comunione, il sacerdote recita l’orazione dopo la Comunione, nella quale invoca i frutti del mistero celebrato.

Nella Messa si dice una sola orazione dopo la Comunione, che termina con la conclusione breve, cioè:

- se è rivolta al Padre: Per Cristo nostro Signore;

- se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell’orazione medesima si fa menzione del Figlio: Egli vive e regna nei secoli dei secoli;

- se è rivolta al Figlio: Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

Il popolo fa sua l’orazione con l’acclamazione Amen.

D) Riti di conclusione (90)

90. I riti di conclusione comprendono:

a) Brevi avvisi, se necessari;

b) Il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con l’orazione sul popolo o con un’altra formula più solenne.

c) Il congedo del popolo da parte del diacono o del sacerdote, perché ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio;

d) Il bacio dell’altare da parte del sacerdote e del diacono e poi l’inchino profondo all’altare da parte del sacerdote, del diacono e degli altri ministri.

Capitolo III - UFFICI E MINISTERI NELLA MESSA

91. La celebrazione eucaristica è azione di Cristo e della Chiesa, cioè del popolo santo riunito e ordinato sotto la guida del Vescovo. Perciò essa appartiene all’intero Corpo della Chiesa, lo manifesta e lo implica; i suoi singoli membri poi vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, dei compiti e dell’attiva partecipazione[76]. In questo modo il popolo cristiano, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato», manifesta il proprio coerente e gerarchico ordine[77]. Tutti perciò, sia ministri ordinati sia fedeli laici, esercitando il loro ministero o ufficio, compiano solo e tutto ciò che è di loro competenza[78].

I. UFFICI DELL’ORDINE SACRO (92 - 94)

92. Ogni legittima celebrazione dell’Eucaristia è diretta dal Vescovo, o personalmente, o per mezzo dei presbiteri suoi collaboratori[79].

Quando il Vescovo è presente a una Messa con partecipazione di popolo, è molto opportuno che celebri egli stesso l’Eucaristia e che associ a sé nell’azione sacra i presbiteri, come concelebranti. Questo si fa non tanto per accrescere la solennità esteriore del rito, ma per esprimere con maggior chiarezza il mistero della Chiesa, «sacramento di unità»[80].

Se il Vescovo non celebra l’Eucaristia, ma ne affida il compito ad altri, allora è bene che lui stesso, indossati la croce pettorale, la stola e il piviale sopra il camice, presieda la Liturgia della Parola e impartisca la benedizione alla fine della Messa[81].

93. Anche il presbitero, che nella Chiesa ha il potere di offrire il sacrificio nella persona di Cristo in virtù della sacra potestà dell’Ordine[82], presiede il popolo fedele radunato in quel luogo e in quel momento, ne dirige la preghiera, annuncia ad esso il messaggio della salvezza, lo associa a sé nell’offerta del sacrificio a Dio Padre per Cristo nello Spirito Santo, distribuisce ai fratelli il pane della vita eterna e lo condivide con loro. Pertanto, quando celebra l’Eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e, nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo.

94. Il diacono, in forza della sacra ordinazione ricevuta, occupa il primo posto dopo il presbitero tra coloro che esercitano un ministero nella celebrazione eucaristica. Infatti il sacro Ordine del diaconato già nella primitiva età apostolica fu tenuto in grande onore nella Chiesa[83]. Nella Messa il diacono ha come ufficio proprio: annunciare il Vangelo e talvolta predicare la parola di Dio, proporre ai fedeli le intenzioni della preghiera universale, servire il sacerdote, preparare l’altare e prestare servizio alla celebrazione del sacrificio, distribuire ai fedeli l’Eucaristia, specialmente sotto la specie del vino, ed eventualmente indicare al popolo i gesti e gli atteggiamenti da assumere.

II. I COMPITI DEL POPOLO DI DIO (95 - 97)

95. I fedeli nella celebrazione della Messa formano la gente santa, il popolo che Dio si è acquistato e il sacerdozio regale, per rendere grazie a Dio, per offrire la vittima immacolata non soltanto per le mani del sacerdote ma anche insieme con lui, e per imparare a offrire se stessi[84]. Procurino quindi di manifestare tutto ciò con un profondo senso religioso e con la carità verso i fratelli che partecipano alla stessa celebrazione.

Evitino perciò ogni forma di individualismo e di divisione, tenendo presente che hanno un unico Padre nei cieli, e perciò tutti sono tra loro fratelli.

96. Formino invece un solo corpo, sia nell’ascoltare la parola di Dio, sia nel prendere parte alle preghiere e al canto, sia specialmente nella comune offerta del sacrificio e nella comune partecipazione alla mensa del Signore. Questa unità appare molto bene dai gesti e dagli atteggiamenti del corpo, che i fedeli compiono tutti insieme.

97. I fedeli non rifiutino di servire con gioia il popolo di Dio, ogni volta che sono pregati di prestare qualche ministero o compito particolare nella celebrazione.

III. MINISTERI PARTICOLARI (98 - 107)

Il ministero dell’accolito e del lettore istituiti

98. L’accolito è istituito per il servizio all’altare e per aiutare il sacerdote e il diacono. A lui spetta in modo particolare preparare l’altare e i vasi sacri, e, se necessario, distribuire l’Eucaristia ai fedeli di cui è ministro straordinario[85].

Nel ministero dell’altare, l’accolito ha compiti propri che egli stesso deve esercitare (Cf. nn. 187-193).

99. Il lettore è istituito per proclamare le letture della sacra Scrittura, eccetto il Vangelo; può anche proporre le intenzioni della preghiera universale e, in mancanza del salmista, proclamare il salmo interlezionale.

Nella celebrazione eucaristica il lettore ha un suo ufficio proprio (Cf. nn. 194-198), che egli stesso deve esercitare.

Gli altri compiti

100. Se manca l’accolito istituito, si possono designare, per il servizio dell’altare in aiuto al sacerdote e al diacono, altri ministri laici che portano la croce, i ceri, il turibolo, il pane, il vino, l’acqua. Essi possono essere anche incaricati per distribuire la Comunione come ministri straordinari[86].

101. Se manca il lettore istituito, altri laici, che siano però adatti a svolgere questo compito e ben preparati, siano incaricati di proclamare le letture della sacra Scrittura, affinché i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave e vivo amore alla sacra Scrittura[87].

102. È compito del salmista proclamare il salmo o un altro canto biblico che si trova tra le letture. Per adempiere convenientemente il suo ufficio, è necessario che il salmista possegga l’arte del salmodiare e abbia una buona pronuncia e una buona dizione.

103. Tra i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la schola cantorum o coro, il cui compito è quello di eseguire a dovere le parti che le sono proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto[88]. Quello che si dice della schola cantorum, con gli opportuni adattamenti, vale anche per gli altri musicisti, specialmente per l’organista.

104.È opportuno che vi sia un cantore o maestro di coro per dirigere e sostenere il canto del popolo. Anzi, mancando la schola, è compito del cantore guidare i diversi canti, facendo partecipare il popolo per la parte che gli spetta[89].

105. Esercitano un servizio liturgico anche:

a) Il sacrista, che prepara diligentemente i libri liturgici, le vesti liturgiche e le altre cose che sono necessarie per la celebrazione della Messa.

b) Il commentatore, che, secondo l’opportunità, rivolge brevemente ai fedeli spiegazioni ed esortazioni per introdurli nella celebrazione e meglio disporli a comprenderla. Gli interventi del commentatore siano preparati con cura, siano chiari e sobri. Nel compiere il suo ufficio, il commentatore sta in un luogo adatto davanti ai fedeli, non però all’ambone.

c) Coloro che raccolgono le offerte in chiesa.

d) Coloro che, in alcune regioni, accolgono i fedeli alla porta della chiesa, li dispongono ai propri posti e ordinano i loro movimenti processionali.

106. È bene che, almeno nelle chiese cattedrali e nelle chiese maggiori, vi sia un ministro competente o maestro delle celebrazioni liturgiche, incaricato di predisporre con cura i sacri riti, e di preparare i ministri sacri e i fedeli laici a compierli con decoro, ordine e devozione.

107. I compiti liturgici, che non sono propri del sacerdote o del diacono, e di cui si è detto sopra (nn. 100-106), possono essere affidati, con la benedizione liturgica o con incarico temporaneo, anche a laici idonei, scelti dal parroco o dal rettore della chiesa[90]. Riguardo al compito di servire il sacerdote all’altare, si osservino le disposizioni date dal Vescovo per la sua diocesi.

IV. LA DISTRIBUZIONE DEI COMPITI E LA PREPARAZIONE DELLA CELEBRAZIONE (108-111)

108. L’unico e medesimo sacerdote deve sempre esercitare l’ufficio presidenziale in tutte le sue parti, tranne ciò che è proprio della Messa in cui è presente il Vescovo (Cf. n. 92).

109. Se sono presenti più persone che possono esercitare lo stesso ministero, nulla impedisce che si distribuiscano tra loro le varie parti di uno stesso ministero o ufficio e ciascuno svolga la sua. Per esempio, un diacono può essere incaricato delle parti in canto e un altro del servizio all’altare; se vi sono più letture, converrà distribuirle tra più lettori, e così via. Non è affatto opportuno che più persone si dividano fra loro un unico elemento della celebrazione: per es. che la medesima lettura sia proclamata da due lettori, uno dopo l’altro, tranne che si tratti della Passione del Signore.

110. Se nella Messa con partecipazione di popolo vi è un solo ministro, egli compia diversi uffici.

111. La preparazione pratica di ogni celebrazione liturgica si faccia di comune e diligente intesa, secondo il Messale e gli altri libri liturgici, fra tutti coloro che sono interessati rispettivamente alla parte rituale, pastorale e musicale, sotto la direzione del rettore della chiesa e sentito anche il parere dei fedeli per quelle cose che li riguardano direttamente. Al sacerdote che presiede la celebrazione spetta però sempre il diritto di disporre ciò che a lui compete[91].

Capitolo IV - DIVERSE FORME DI CELEBRAZIONE DELLA MESSA

112. Nella Chiesa locale si deve davvero dare il primo posto, come lo richiede il suo significato, alla Messa presieduta il Vescovo circondato dal suo presbiterio, dai diaconi e dai ministri laici[92] con la partecipazione piena e attiva del popolo santo di Dio. Si ha qui infatti una speciale manifestazione della Chiesa.

Nella Messa che viene celebrata dal Vescovo, o presieduta dal Vescovo senza che celebri l’Eucaristia, si osservino le norme che si trovano nel Cerimoniale dei Vescovi[93].

113. Grande importanza si deve dare anche alla Messa celebrata con una comunità, specialmente parrocchiale; essa, infatti, soprattutto nella celebrazione comunitaria della domenica, manifesta la Chiesa universale in un momento e in un luogo determinato[94].

114. Tra le Messe celebrate da determinate comunità, particolare importanza ha la Messa conventuale, che è parte dell’ufficio quotidiano, come pure la Messa detta della «comunità». E, sebbene queste Messe non comportino nessuna forma particolare di celebrazione, tuttavia è quanto mai conveniente che siano celebrate con il canto e soprattutto con la piena partecipazione di tutti i membri della comunità, sia di religiosi che di canonici. In queste Messe perciò ognuno eserciti la sua funzione, secondo l’Ordine o il ministero ricevuto. Anzi, conviene che tutti i sacerdoti non tenuti a celebrare individualmente per l’utilità pastorale dei fedeli, per quanto è possibile concelebrino in queste Messe. Inoltre tutti i sacerdoti membri della comunità, tenuti a celebrare individualmente per il bene pastorale dei fedeli, possono, nello stesso giorno, concelebrare anche la Messa conventuale o di comunità[95]. È preferibile infatti che i presbiteri presenti alla celebrazione eucaristica, se non sono scusati da una giusta causa, esercitino normalmente il ministero del proprio Ordine e quindi partecipino come concelebranti, indossando le sacre vesti. Diversamente indossano il proprio abito corale o la cotta sopra la veste talare.

I. MESSA CON IL POPOLO (115 - 198)

115. Per Messa con il popolo si intende quella celebrata con la partecipazione dei fedeli. Soprattutto nelle domeniche e nelle feste di precetto, conviene, per quanto è possibile, che la celebrazione si svolga con il canto e con un congruo numero di ministri,[96]; si può fare però anche senza canto e con un solo ministro.

116. In ogni celebrazione della Messa, se è presente il diacono, compia il suo ufficio. È bene inoltre che un accolito, un lettore e un cantore assistano il sacerdote celebrante. Il rito qui sotto descritto prevede tuttavia la possibilità di usare un numero anche maggiore di ministri.

Cose da preparare (117 - 119)

117. L’altare sia ricoperto da almeno una tovaglia bianca. In ogni celebrazione sull’altare, o accanto ad esso, si pongano almeno due candelabri con i ceri accesi, o anche quattro o sei, specialmente se si tratta della Messa domenicale o festiva di precetto; se celebra il Vescovo della diocesi, si usino sette candelabri. Inoltre, sull’altare, o vicino ad esso, si collochi la croce con l’immagine di Cristo crocifisso. I candelabri e la croce con l’immagine di Cristo crocifisso si possono portare nella processione di ingresso. Sopra l’altare si può collocare l’Evangeliario, distinto dal libro delle altre letture, a meno che non venga portato nella processione d’ingresso.

118. Si preparino pure:

a) accanto alla sede del sacerdote: il Messale e, se necessario, il libro dei canti;

b) sull’ambone: il Lezionario;

c) sopra la credenza: il calice, il corporale, il purificatoio e, secondo l’opportunità, la palla; la patena e le pissidi, se sono necessarie; il pane per la Comunione del sacerdote che presiede, dei diaconi, dei ministri e del popolo; le ampolle con il vino e l’acqua, a meno che tutte queste cose non vengano presentate dai fedeli all’offertorio; un vaso con l’acqua da benedire se si compie il rito dell’aspersione; il piattello per la Comunione dei fedeli; inoltre il necessario per lavarsi le mani.

Il calice sia lodevolmente ricoperto da un velo, che può essere o del colore del giorno o bianco.

119. In sagrestia, si preparino, secondo le varie forme di celebrazione, le vesti sacre (Cf. nn. 337-341) del sacerdote, del diacono e degli altri ministri:

a) per il sacerdote: camice, stola, casula o pianeta;

b) per il diacono: camice, stola e dalmatica; in caso però di necessità o di minor solennità, la dalmatica si può omettere;

c) per gli altri ministri: camici o altre vesti legittimamente approvate[97].

Tutti coloro che indossano il camice, usino il cingolo e l’amitto, a meno che per la forma stessa del camice non siano necessari.

Quando si fa la processione d’ingresso, vengano preparati anche l’Evangeliario; nelle domeniche e nelle feste, il turibolo e la navicella con l’incenso, se si usa l’incenso; la croce da portare in processione, i candelabri con le candele accese.

A) Messa senza diacono (120-170)

Riti di introduzione

120. Quando il popolo è radunato, il sacerdote e i ministri, rivestiti delle vesti sacre, si avviano all’altare, in quest’ordine:

a) il turiferario con il turibolo fumigante, se si usa l’incenso;

b) i ministri che portano i ceri accesi e, in mezzo a loro, l’accolito o un altro ministro con la croce;

c) gli accoliti e gli altri ministri;

d) il lettore, che può portare l’Evangeliario un po’ elevato, ma non il Lezionario;

e) il sacerdote che celebra la Messa.

Se si usa l’incenso, prima di incamminarsi, il sacerdote pone l’incenso nel turibolo e lo benedice con un segno di croce senza dire nulla.

121. Durante la processione all’altare, si esegue il canto d’ingresso (Cf. nn. 47-48).

122. Arrivati all’altare, il sacerdote e i ministri fanno un inchino profondo.

La croce con l’immagine di Cristo crocifisso se portata in processione viene collocata presso l’altare perché sia la croce dell’altare, che deve essere una soltanto, altrimenti si metta in disparte in un luogo degno. I candelabri invece si mettano sull’altare o accanto ad esso; è bene che l’Evangeliario sia collocato sull’altare.

123. Il sacerdote accede all’altare e lo venera con il bacio. Poi, secondo l’opportunità, incensa la croce e l’altare, girandogli intorno.

124. Fatto questo, il sacerdote si reca alla sede. Terminato il canto d’ingresso, tutti, sacerdote e fedeli, rimanendo in piedi, fanno il segno della croce. Il sacerdote dice: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; il popolo risponde: Amen.

Poi, rivolto al popolo, e allargando le braccia, il sacerdote lo saluta con una delle formule proposte. Egli stesso o un altro ministro può anche introdurre brevemente i fedeli alla Messa del giorno.

125. Segue l’atto penitenziale. Poi si canta o si recita il Kyrie eleison secondo le rubriche (Cf. n. 52)

126. Nelle celebrazioni in cui è stabilito, si canta o si recita il Gloria (Cf. n. 53).

127. Quindi il sacerdote invita il popolo alla preghiera, dicendo a mani giunte: Preghiamo. E tutti insieme con il sacerdote pregano, per breve tempo, in silenzio. Poi il sacerdote, con le braccia allargate, dice la colletta; al termine di questa, il popolo acclama: Amen.

Liturgia della Parola

128. Terminata la colletta, tutti siedono. Il sacerdote in modo molto breve può introdurre i fedeli alla Liturgia della Parola. Il lettore va all’ambone e proclama la prima lettura dal Lezionario, già là collocato prima della Messa. Tutti ascoltano. Alla fine il lettore pronuncia l’acclamazione Parola di Dio e tutti rispondono Rendiamo grazie a Dio.

Quindi si può osservare, secondo l’opportunità, un breve momento di silenzio affinché tutti meditino brevemente ciò che hanno ascoltato.

129. Quindi, il salmista, o lo stesso lettore, proclama i versetti del salmo, mentre il popolo risponde abitualmente con il ritornello.

130. Se c’è una seconda lettura prima del Vangelo, il lettore la proclama dall’ambone, tutti stanno in ascolto, e alla fine rispondono con l’acclamazione come è detto sopra (n. 128). Poi, secondo l’opportunità, si può osservare un breve momento di silenzio.

131. Poi tutti si alzano e si canta l’Alleluia o un altro canto, come richiesto dal tempo liturgico (Cf. nn. 62-64).

132. Mentre si canta l’Alleluia o un altro canto, se si usa l’incenso, il sacerdote lo mette nel turibolo e lo benedice. Quindi, a mani giunte, e inchinato profondamente davanti all’altare, dice sottovoce: Purifica il mio cuore.

133. Poi, se l’Evangeliario è sull’altare, lo prende e, preceduto da ministri laici, che possono portare il turibolo e i ceri, si reca all’ambone, tenendo un po’ elevato l’Evangeliario. I presenti si rivolgono verso l’ambone, per manifestare una particolare riverenza al Vangelo di Cristo.

134. All’ambone il sacerdote apre il libro e, a mani giunte, dice: Il Signore sia con voi, mentre il popolo risponde: E con il tuo spirito; quindi: Dal Vangelo secondo N., tracciando con il pollice il segno di croce sul libro e sulla propria persona, in fronte, sulla bocca e sul petto, gesto che compiono anche tutti i presenti. Il popolo acclama, dicendo: Gloria a te, o Signore. Il sacerdote, se si usa il turibolo, incensa il libro (Cf. nn. 276-277). Quindi proclama il Vangelo, concludendo con l’acclamazione: Parola del Signore, alla quale tutti rispondono: Lode a te, o Cristo. Il sacerdote bacia il libro, dicendo sottovoce: La parola del Vangelo cancelli i nostri peccati.

135. Quando manca il lettore, il sacerdote stesso proclama tutte le letture e il salmo stando all’ambone. Qui, se lo si usa, pone l’incenso nel turibolo, lo benedice e, inchinandosi profondamente, dice: Purifica il mio cuore.

136. Il sacerdote, stando alla sede o allo stesso ambone, o, secondo l’opportunità, in un altro luogo idoneo, pronuncia l’omelia, al termine della quale si può osservare un momento di silenzio.

137. Il simbolo (Credo) viene cantato o recitato dal sacerdote insieme con il popolo (Cf. n. 68), stando tutti in piedi. Alle parole: E per opera dello Spirito Santo... e si è fatto uomo, tutti si inchinano profondamente; nelle solennità dell’Annunciazione (25 marzo) e del Natale del Signore (25 dicembre) tutti genuflettono.

138. Terminato il canto o la proclamazione della professione di fede, il sacerdote stando alla sede, a mani giunte, con una breve monizione invita i fedeli alla preghiera universale. Quindi il cantore, il lettore o un altro ministro, dall’ambone o da un altro luogo conveniente, rivolto al popolo propone le intenzioni, mentre il popolo risponde supplicando. Alla fine il sacerdote, a braccia aperte, conclude la preghiera con un’orazione.

Liturgia eucaristica

139. Terminata la preghiera dei fedeli, tutti siedono e ha inizio il canto di offertorio (Cf. n. 74).

L’accolito o un altro ministro laico colloca sull’altare il corporale, il purificatoio, il calice, la palla e il Messale.

140. È bene che la partecipazione dei fedeli si manifesti con l’offerta del pane e del vino per la celebrazione dell’Eucaristia, sia di altri doni, per le necessità della Chiesa e dei poveri.

Le offerte dei fedeli sono ricevute dal sacerdote, aiutato dall’accolito o da un altro ministro. Il pane e il vino per l’Eucaristia sono consegnati al celebrante, che li depone sull’altare, mentre gli altri doni sono deposti in un altro luogo adatto (Cf. n. 73).

141. All’altare il sacerdote riceve la patena con il pane, e tenendola con entrambe le mani un po’ sollevata sull’altare, dice sottovoce: Benedetto sei tu, Signore. Quindi depone la patena con il pane sopra il corporale.

142. Poi il sacerdote, stando a lato dell’altare, dalle ampolline presentate dal ministro, versa il vino e un po’ d’acqua nel calice, dicendo sottovoce: L’acqua unita al vino. Ritornato al centro dell’altare, prende il calice e, tenendolo un po’ sollevato con entrambe le mani, dice sottovoce: Benedetto sei tu, Signore; quindi depone il calice sul corporale e, se occorre, lo copre con la palla.

Se non si fa il canto all’offertorio o non si suona l’organo, il sacerdote, nella presentazione del pane e del vino, può dire ad alta voce le formule della benedizione, alle quali il popolo risponde: Benedetto nei secoli il Signore.

143. Deposto il calice sull’altare, il sacerdote, inchinandosi profondamente, dice sottovoce: Umili e pentiti.

144. Se si usa l’incenso, il sacerdote lo infonde nel turibolo, lo benedice senza nulla dire e incensa le offerte, la croce e l’altare. Il ministro, stando a lato dell’altare, incensa il celebrante, poi il popolo.

145. Dopo la preghiera Umili e pentiti, oppure dopo l’incensazione, il sacerdote, stando a lato dell’altare, si lava le mani con l’acqua versatagli dal ministro, dicendo sottovoce: Lavami, Signore, da ogni colpa.

146. Ritornato al centro dell’altare, il sacerdote, rivolto al popolo, allargando e ricongiungendo le mani, lo invita a pregare dicendo: Pregate, fratelli. Il popolo si alza e risponde: Il Signore riceva. Dopo la risposta del popolo, il sacerdote, con le braccia allargate dice l’orazione sopra le offerte. Al termine, il popolo acclama: Amen.

147. Quindi il sacerdote inizia la Preghiera eucaristica. Secondo le rubriche (Cf. n. 365) ne sceglie una fra quelle che si trovano nel Messale Romano o che sono approvate dalla Santa Sede. La Preghiera eucaristica esige, per sua natura, di essere pronunciata dal solo sacerdote, in forza dell’ordinazione. Il popolo invece si associ al sacerdote con fede e in silenzio, ed anche con gli interventi stabiliti nel corso della Preghiera eucaristica, quali sono le risposte nel dialogo del Prefazio, il Santo, l’acclamazione dopo la consacrazione e l’Amen dopo la dossologia finale, ed altre acclamazioni approvate dalla Conferenza Episcopale e confermate dalla Santa Sede.

È assai conveniente che il sacerdote canti le parti della Preghiera eucaristica che sono indicate in musica.

148. Il sacerdote, quando inizia la Preghiera eucaristica, allargando le braccia, canta o dice: Il Signore sia con voi; mentre il popolo risponde: E con il tuo spirito. Prosegue: In alto i nostri cuori, e intanto innalza le mani. Il popolo risponde: Sono rivolti al Signore. Poi il sacerdote, con le braccia aperte, soggiunge: Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio, e il popolo risponde: È cosa buona e giusta. Poi il sacerdote, con le braccia allargate, continua il prefazio; al termine di esso, a mani giunte, canta o dice ad alta voce, insieme con tutti i presenti: Santo (Cf. n. 79 b).

149. Il sacerdote prosegue la Preghiera eucaristica, secondo le rubriche indicate in ogni formulario della Preghiera stessa.

Se il celebrante è un Vescovo, nelle Preghiere, dopo le parole: il nostro Papa N. soggiunge: me, indegno tuo servo. O dopo le parole: del nostro Papa N., aggiunge: di me indegno tuo servo. Se invece il Vescovo celebra fuori della sua Diocesi, dopo le parole: il nostro Papa N. aggiunge: e me indegno tuo servo, e il mio fratello N., Vescovo di questa Chiesa N., o dopo le parole: del nostro Papa N., aggiunge: di me indegno tuo servo, e del mio fratello N., Vescovo di questa Chiesa N.

Il Vescovo diocesano o colui che è ad esso equiparato a norma del diritto, si deve nominare con questa formula: con il tuo servo il nostro Papa N. e il nostro Vescovo (o Vicario, Prelato, Prefetto, Abate) N.

Nella Preghiera eucaristica è permesso nominare i Vescovi Coadiutori e Ausiliari, non invece altri Vescovi eventualmente presenti. Quando si dovessero fare più nomi, si dice con formula generale: e con il nostro Vescovo N. e i Vescovi suoi collaboratori.

In ogni Preghiera eucaristica tali formule si devono adattare, secondo le esigenze grammaticali.

150. Poco prima della consacrazione, il ministro, se è opportuno, avverte i fedeli con un segno di campanello. Così pure suona il campanello alla presentazione al popolo dell’ostia consacrata e del calice secondo le consuetudini locali.

Se si usa l’incenso, quando, dopo la consacrazione, si mostrano al popolo l’ostia e il calice, il ministro li incensa.

151. Dopo la consacrazione, il sacerdote dice: Mistero della fede e il popolo risponde con un’acclamazione, scegliendo una formula fra quelle prescritte.

Al termine della Preghiera eucaristica, il sacerdote, prendendo la patena con l’ostia insieme al calice, ed elevandoli entrambi, pronuncia, lui solo, la dossologia: Per Cristo. Il popolo al termine acclama: Amen. Poi il sacerdote depone sopra il corporale la patena e il calice.

152. Conclusa la Preghiera eucaristica, il sacerdote, a mani giunte, dice la monizione che precede l’orazione del Signore e recita poi il Padre nostro, con le braccia allargate, insieme con il popolo.

153. Al termine del Padre nostro, il sacerdote, con le braccia allargate, dice da solo l’embolismo Liberaci, o Signore, dopo il quale il popolo acclama: Tuo è il regno.

154. Quindi il sacerdote, con le braccia allargate dice ad alta voce la preghiera: Signore Gesù Cristo; terminata la preghiera, allargando e ricongiungendo le mani, annuncia la pace, dicendo verso il popolo: La pace del Signore sia sempre con voi. Il popolo risponde: E con il tuo spirito. Poi, secondo l’opportunità, il sacerdote soggiunge: Scambiatevi un segno di pace.

Il sacerdote può dare la pace ai ministri, rimanendo tuttavia sempre nel presbiterio, per non disturbare la celebrazione. Così ugualmente faccia se, per qualche buon motivo, vuol dare la pace ad alcuni fedeli. Tutti però, secondo quanto è stabilito dalla Conferenza Episcopale, si manifestano reciprocamente pace, comunione e carità. Quando si dà la pace, si può dire: La pace del Signore sia sempre con te, a cui si risponde: Amen.

155. Il sacerdote prende l’ostia, la spezza sopra la patena e ne mette una particella nel calice, dicendo sottovoce: Il Corpo e il Sangue... uniti in questo calice. Intanto la schola e il popolo cantano o dicono: Agnello di Dio (Cf. n. 83).

156. Quindi il sacerdote dice sottovoce e con le mani giunte la preghiera alla Comunione: Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, oppure La Comunione con il tuo Corpo.

157. Terminata la preghiera, il sacerdote genuflette, prende l’ostia consacrata nella stessa Messa e, tenendola alquanto sollevata sopra la patena o sopra il calice, rivolto al popolo, dice: Ecco l’Agnello di Dio, e, insieme con il popolo, prosegue: O Signore, non sono degno.

158. Poi, rivolto all’altare, il sacerdote dice sottovoce: Il Corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna, e con riverenza si ciba del Corpo di Cristo. Quindi prende il calice, dicendo sottovoce: Il Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna, e con riverenza beve il Sangue di Cristo.

159. Mentre il sacerdote si comunica, si inizia il canto alla Comunione (Cf. n. 86).

160. Poi il sacerdote prende la patena o la pisside e si reca dai comunicandi, che normalmente si avvicinano processionalmente.

Non è permesso ai fedeli prendere da se stessi il pane consacrato o il sacro calice, tanto meno passarselo di mano in mano. I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale. Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme.

161. Se la Comunione si fa sotto la sola specie del pane, il sacerdote, eleva alquanto l’ostia e la presenta a ciascuno dicendo: Il Corpo di Cristo. Il comunicando risponde: Amen, e riceve il sacramento in bocca o, nei luoghi in cui è stato permesso, sulla mano, come preferisce. Il comunicando appena ha ricevuto l’ostia sacra, la consuma totalmente.

Se invece la Comunione si fa sotto le due specie si segue il rito descritto a suo luogo (Cf. nn. 284-287).

162. Nel caso siano presenti altri presbiteri, essi possono aiutare il sacerdote nella distribuzione della Comunione. Se non ve ne sono a disposizione e il numero dei comunicandi è molto grande, il sacerdote può chiamare in aiuto ministri straordinari, cioè l’accolito istituito, o anche altri fedeli a ciò deputati secondo il diritto[98]. In caso di necessità, il sacerdote può incaricare volta per volta fedeli idonei[99].

Questi ministri non salgano all’altare prima che il sacerdote abbia fatto la Comunione e ricevano sempre dalla mano del sacerdote il vaso in cui si custodiscono le specie della Ss.ma Eucaristia da distribuire ai fedeli.

163. Terminata la distribuzione della Comunione, il sacerdote all’altare consuma subito e totalmente il vino consacrato rimasto; invece le ostie consacrate, che sono avanzate, o le consuma all’altare o le porta al luogo destinato alla conservazione dell’Eucaristia.

Il sacerdote, ritornato all’altare, raccoglie i frammenti, se ce ne fossero; poi, stando all’altare o alla credenza, purifica la patena o la pisside sopra il calice, purifica poi il calice dicendo sottovoce: Il sacramento ricevuto, e lo asterge con il purificatoio. Se i vasi sacri sono stati astersi all’altare, il ministro li porta alla credenza. I vasi sacri da purificare, soprattutto se fossero molti, si possono anche lasciare, opportunamente ricoperti, sull’altare o alla credenza, sopra il corporale; la purificazione si compie subito dopo la Messa, una volta congedato il popolo.

164. Compiuta la purificazione, il sacerdote può ritornare alla sede. Si può osservare, per un tempo conveniente, il sacro silenzio, oppure cantare un salmo, un altro canto di lode o un inno (Cf. n. 88).

165. Poi, stando alla sede o all’altare, il sacerdote, rivolto al popolo, dice a mani giunte: Preghiamo, e, a braccia allargate, dice l’orazione dopo la Comunione, alla quale può premettere una breve pausa di silenzio, a meno che sia già stato osservato subito dopo la Comunione. Al termine dell’orazione il popolo acclama: Amen.

Riti di conclusione

166. Detta l’orazione dopo la Comunione, si possono dare, se occorre, brevi comunicazioni al popolo.

167. Poi il sacerdote, allargando le braccia, saluta il popolo, dicendo: Il Signore sia con voi; il popolo risponde: E con il tuo spirito. Il sacerdote, congiunge ancora le mani e subito, tenendo la mano sinistra sul petto e alzando la destra, soggiunge: Vi benedica Dio onnipotente, e, tracciando il segno di croce sopra il popolo, prosegue: Padre e Figlio e Spirito Santo. Tutti rispondono: Amen.

In giorni e circostanze particolari, questa benedizione, secondo le rubriche, viene espressa e arricchita con l’orazione sul popolo o con un’altra formula più solenne.

Il Vescovo benedice il popolo secondo la formula a lui propria, tracciando tre volte il segno di croce[100].

168. Subito dopo la benedizione, il sacerdote, a mani giunte, aggiunge: La Messa è finita: andate in pace; e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio.

169. Infine il sacerdote venera l’altare con il bacio e, fatto un profondo inchino all’altare insieme con i ministri laici, con loro si ritira.

170. Se alla Messa segue un’altra azione liturgica, si tralasciano i riti di conclusione, cioè il saluto, la benedizione e il congedo.

B) Messa con il diacono (171 - 186)

171. Il diacono, quando è presente alla celebrazione eucaristica, rivestito delle sacre vesti, eserciti il suo ministero. Egli infatti:

a) sta accanto al sacerdote e lo aiuta;

b) all’altare, svolge il suo servizio al calice e al libro;

c) proclama il Vangelo e può, per incarico del sacerdote celebrante, tenere l’omelia (Cf. n. 66);

d) guida il popolo dei fedeli con opportune monizioni ed enuncia le intenzioni della preghiera universale;

e) aiuta il sacerdote celebrante nella distribuzione della Comunione, purifica e ripone i vasi sacri;

f) compie lui stesso gli uffici degli altri ministri, secondo la necessità, quando nessuno di essi è presente.

Riti di introduzione

172. Il diacono precede il sacerdote nella processione verso l’altare portando l’Evangeliario un po’ elevato; altrimenti incede al suo fianco.

173. Il diacono, se porta l’Evangeliario, quando è giunto all’altare, vi si accosta, omettendo la reverenza. Quindi, deposto l’Evangeliario sull’altare, insieme con il sacerdote venera l’altare con il bacio.

Se invece non porta l’Evangeliario, fa con il sacerdote nel modo consueto un profondo inchino all’altare e con lui lo venera con il bacio.

Infine, se si usa l’incenso, assiste il sacerdote nell’infusione dell’incenso nel turibolo e nella incensazione della croce e dell’altare.

174. Incensato l’altare, insieme con il sacerdote si reca alla sede; qui rimane accanto al sacerdote, prestandogli servizio secondo le necessità.

Liturgia della Parola

175. Mentre si canta l’Alleluia o un altro canto, se si usa il turibolo, aiuta il sacerdote nell’infusione dell’incenso, quindi, inchinandosi profondamente dinanzi al sacerdote, chiede la benedizione dicendo a bassa voce: Benedicimi, o padre. Il sacerdote lo benedice con la formula: Il Signore sia nel tuo cuore. Il diacono si segna con il segno di croce e risponde: Amen. Poi, fatta la debita riverenza all’altare, prende l’Evangeliario che vi è stato collocato sopra e va all’ambone, portando il libro un po’ elevato; lo precedono il turiferario con il turibolo fumigante e i ministri con i ceri accesi. Qui saluta il popolo dicendo, a mani giunte, Il Signore sia con voi, quindi, alle parole Dal Vangelo secondo N., con il pollice segna il libro e poi se stesso sulla fronte, sulla bocca e sul petto, incensa il libro e proclama il Vangelo. Terminata la lettura, acclama: Parola del Signore; tutti rispondono: Lode a te, o Cristo. Quindi venera il libro con il bacio, dicendo sottovoce: La parola del Vangelo, e ritorna presso il sacerdote.

Quando il diacono serve il Vescovo, gli porta il libro da baciare o lui stesso lo bacia, dicendo sottovoce: La parola del Vangelo. Nelle celebrazioni più solenni il Vescovo, secondo l’opportunità, imparte al popolo la benedizione con l’Evangeliario.

L’Evangeliario infine può essere portato alla credenza o in altro luogo adatto e degno.

176. Se manca un altro lettore idoneo, il diacono proclami anche le altre letture.

177. Alla preghiera dei fedeli, dopo l’introduzione del sacerdote, il diacono propone le varie intenzioni, stando abitualmente all’ambone.

Liturgia eucaristica

178. Terminata la preghiera universale, mentre il sacerdote rimane alla sede, il diacono prepara l’altare con l’aiuto dell’accolito; spetta a lui la cura dei vasi sacri. Sta accanto al sacerdote e lo aiuta nel ricevere i doni del popolo. Presenta al sacerdote la patena con il pane da consacrare; versa il vino e un po’ d’acqua nel calice, dicendo sottovoce: L’acqua unita al vino, e lo presenta poi al sacerdote. Questa preparazione del calice, la può fare alla credenza. Se si usa l’incenso, assiste il sacerdote nell’incensazione delle offerte della croce e dell’altare, poi lui stesso, o l’accolito incensa il sacerdote e il popolo.

179. Durante la Preghiera eucaristica, il diacono sta accanto al sacerdote, ma un po’ indietro, per attendere, quando occorre, al calice e al Messale.

Quindi dall’epiclesi fino all’ostensione del calice il diacono abitualmente sta in ginocchio. Se sono presenti più diaconi, uno di essi, al momento della consacrazione, può mettere l’incenso nel turibolo e incensare durante l’ostensione dell’ostia e del calice.

180. Alla dossologia finale della Preghiera eucaristica, stando accanto al sacerdote, tiene sollevato il calice, mentre il sacerdote eleva la patena con l’ostia, finché il popolo non abbia acclamato l’Amen.

181. Dopo che il sacerdote ha detto la preghiera per la pace e rivolto l’augurio: La pace del Signore sia sempre con voi, al quale il popolo risponde: E con il tuo spirito, il diacono, secondo l’opportunità, invita a darsi scambievolmente la pace, dicendo, a mani giunte e rivolto verso il popolo: Scambiatevi il dono della pace. Riceve dal sacerdote la pace, e la può dare agli altri ministri a lui più vicini.

182. Dopo che il sacerdote si è comunicato, il diacono riceve la Comunione sotto le due specie dallo stesso sacerdote, quindi aiuta il sacerdote a distribuire la Comunione al popolo. Se la Comunione viene distribuita sotto le due specie, porge il calice a quanti si comunicano; poi, terminata la distribuzione, all’altare devotamente consuma subito il Sangue di Cristo che è rimasto, con l’aiuto, se il caso lo richiede, degli altri diaconi e presbiteri.

183. Terminata la distribuzione della Comunione, il diacono ritorna all’altare con il sacerdote, raccoglie i frammenti, se ve ne fossero, quindi porta alla credenza il calice e gli altri vasi sacri, dove li purifica e riordina, come di norma, mentre il sacerdote ritorna alla sede. I vasi sacri da purificare si possono anche lasciare opportunamente ricoperti alla credenza, sopra il corporale; la purificazione si compia subito dopo la Messa, una volta congedato il popolo.

Riti di conclusione

184. Detta l’orazione dopo la Comunione, il diacono dà al popolo brevi comunicazioni, a meno che il sacerdote preferisca darle personalmente.

185. Se si usa l’orazione sul popolo o la formula della benedizione solenne, il diacono dice: Inchinatevi per la benedizione. Dopo la benedizione del sacerdote, il diacono congeda il popolo dicendo, a mani giunte e rivolto verso il popolo: La Messa è finita andate in pace. Tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio.

186. Quindi, insieme con il sacerdote, venera l’altare con il bacio e, fatto un profondo inchino, ritorna allo stesso modo come era venuto.

C) Compiti dell’accolito (187 - 193)

187. I compiti che l’accolito può svolgere sono di vario genere; molti di essi si possono presentare contemporaneamente. Conviene quindi distribuire i vari compiti tra più accoliti; se però è presente un solo accolito, svolga lui stesso gli uffici più importanti, e gli altri vengano distribuiti tra più ministri.

Riti iniziali

188. Nella processione all’altare, l’accolito può portare la croce, affiancato da due ministri con i ceri accesi. Giunto all’altare, colloca la croce presso l’altare, affinché sia la croce dell’altare, altrimenti la ripone in un luogo degno. Quindi va al suo posto in presbiterio.

189. Durante l’intera celebrazione, è compito dell’accolito accostarsi, all’occorrenza, al sacerdote o al diacono per presentare loro il libro o per aiutarli in tutto ciò che è necessario. Conviene pertanto che, per quanto possibile, occupi un posto dal quale possa svolgere comodamente il suo compito, sia alla sede che all’altare.

Liturgia eucaristica

190. In assenza del diacono, terminata la preghiera universale, mentre il sacerdote rimane alla sede, l’accolito dispone sull’altare il corporale, il purificatoio, il calice, la palla e il Messale. Quindi, se necessario, aiuta il sacerdote nel ricevere i doni del popolo e, secondo l’opportunità, porta all’altare il pane e il vino e li consegna al sacerdote. Se si usa l’incenso, presenta il turibolo al sacerdote, e lo assiste poi nell’incensazione delle offerte, della croce e dell’altare. Quindi incensa il sacerdote e il popolo.

191. L’accolito istituito, se necessario, può, come ministro straordinario, aiutare il sacerdote nella distribuzione della Comunione al popolo[101]. Se si fa la Comunione sotto le due specie, in assenza del diacono, l’accolito presenta il calice ai comunicandi, o tiene lui stesso il calice, se la Comunione si dà per intinzione.

192. L’accolito istituito, terminata la distribuzione della Comunione, aiuta il sacerdote o il diacono a purificare e riordinare i vasi sacri. In assenza del diacono, l’accolito istituito porta i vasi sacri alla credenza e lì, come si usa abitualmente, li purifica, li asterge e li riordina.

193. Terminata la celebrazione della Messa, l’accolito e gli altri ministri, insieme al sacerdote e al diacono, ritornano in sagrestia processionalmente nello stesso modo e ordine con il quale erano arrivati.

D) Compiti del lettore (194 - 198)

Riti iniziali

194. Nella processione all’altare, in assenza del diacono, il lettore, indossata una veste approvata, può portare l’Evangeliario un po’ elevato; in tal caso procede davanti al sacerdote; altrimenti, incede con gli altri ministri.

195. Giunto all’altare, fa’ con gli altri un profondo inchino. Se porta l’Evangeliario, accede all’altare e ve lo depone. Quindi va ad occupare il suo posto in presbiterio con gli altri ministri.

Liturgia della Parola

196. Proclama dall’ambone le letture che precedono il Vangelo. In mancanza del salmista, può anche proclamare il salmo responsoriale dopo la prima lettura.

197. In assenza del diacono, dopo l’introduzione del sacerdote, può proporre dall’ambone le intenzioni della preghiera universale.

198. Se all’ingresso o alla Comunione non si fa un canto, e se non vengono recitate dai fedeli le antifone indicate nel Messale, le può dire il lettore al tempo dovuto (Cf. n. 48, 87).

II. MESSA CONCELEBRATA (199 - 251)

199. La concelebrazione, nella quale si manifesta assai bene l’unità del sacerdozio, del sacrificio e di tutto il popolo di Dio, è prescritta dal rito stesso: nell’ordinazione del Vescovo e dei presbiteri, nella benedizione dell’abate e nella Messa crismale.

È invece raccomandata, se l’utilità dei fedeli non richiede o suggerisce altro:

a) nella Messa vespertina «Nella Cena del Signore»;

b) nella Messa celebrata in occasione di Concili, di raduni di Vescovi e di Sinodi;

c) nella Messa conventuale e nella Messa principale nelle chiese e negli oratori;

d) nelle Messe in occasione di incontri di sacerdoti, secolari o religiosi, qualunque sia il carattere di tali incontri[102].

Al singolo sacerdote sia tuttavia permesso celebrare l’Eucaristia in modo individuale, non però nel tempo in cui nella stessa chiesa o oratorio si tiene la concelebrazione. Ma il Giovedì della Settimana santa nella Messa vespertina «Nella Cena del Signore» e nella Messa della Veglia Pasquale non è permesso celebrare in modo individuale.

200. I presbiteri pellegrini siano accolti volentieri nella concelebrazione eucaristica, purché sia riconosciuta la loro condizione di sacerdoti.

201. Quando vi è un numero considerevole di sacerdoti, se la necessità o l’utilità pastorale lo suggerisce, si possono svolgere anche più concelebrazioni nello stesso giorno; si devono tuttavia tenere in tempi successivi o in luoghi sacri diversi[103].

202. Spetta al Vescovo, a norma del diritto, regolare la disciplina della concelebrazione nella sua diocesi.

203. Particolare importanza si deve dare a quella concelebrazione, in cui i presbiteri di una diocesi concelebrano con il proprio Vescovo, nella Messa stazionale soprattutto nei giorni più solenni dell’anno liturgico, nella Messa dell’ordinazione del nuovo Vescovo diocesano o del suo Coadiutore o Ausiliare, nella Messa crismale, nella Messa vespertina «Nella Cena del Signore», nelle celebrazioni del Santo Fondatore della Chiesa locale o del Patrono della diocesi, negli anniversari del Vescovo, e infine in occasione del Sinodo o della visita pastorale.

Per lo stesso motivo si raccomanda la concelebrazione tutte le volte che i sacerdoti si radunano insieme con il proprio Vescovo, sia in occasione di esercizi spirituali, sia per qualche altro convegno. In tali circostanze viene manifestato in modo più evidente quel segno dell’unità del sacerdozio, come pure della Chiesa stessa, che è proprio di ogni concelebrazione[104].

204. Per motivi particolari, suggeriti dal significato del rito o della festa, è concesso celebrare o concelebrare più volte nello stesso giorno nei seguenti casi:

a) chi ha celebrato o concelebrato al Giovedì della Settimana santa la Messa crismale, può celebrare o concelebrare anche la Messa vespertina «Nella Cena del Signore»;

b) chi ha celebrato o concelebrato la Messa della Veglia Pasquale può celebrare o concelebrare la Messa del giorno di Pasqua;

c) nel Natale del Signore tutti i sacerdoti possono celebrare o concelebrare le tre Messe, purché lo facciano nelle ore corrispondenti;

d) nel giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, tutti i sacerdoti possono celebrare o concelebrare tre Messe, purché le celebrazioni avvengano in tempi diversi e osservando ciò che è stato stabilito per l’applicazione della seconda e terza Messa[105];

e) chi in occasione del Sinodo, della visita pastorale o di incontri sacerdotali concelebra col Vescovo o con un suo delegato, può di nuovo celebrare, per l’utilità dei fedeli. La stessa possibilità è data, con gli opportuni adattamenti, anche per le riunioni dei religiosi.

205. La Messa concelebrata, in qualunque forma si svolga, è ordinata secondo le norme che comunemente di devono osservare (Cf. nn. 112-198), tenute presenti le varianti qui sotto indicate.

206. Nessuno mai vada o sia ammesso a concelebrare quando la Messa è già iniziata.

207. In presbiterio si preparino:

a) le sedi e i sussidi per i sacerdoti concelebranti;

b) sulla credenza: un calice di sufficiente capacità o più calici.

208. Se non è presente il diacono, i compiti a lui propri sono svolti da alcuni concelebranti.

Se non vi sono gli altri ministri, le parti loro proprie si possono affidare ad altri fedeli idonei, altrimenti vengono assolte da alcuni concelebranti.

209. I concelebranti, in sagrestia o in altro luogo adatto, indossano le vesti sacre che abitualmente si utilizzano nella celebrazione individuale. Tuttavia per un ragionevole motivo, come ad esempio un numero notevole di concelebranti e la mancanza di paramenti, i concelebranti, fatta sempre eccezione per il celebrante principale, possono fare a meno della casula o pianeta, e usare soltanto la stola sopra il camice.

Riti di introduzione

210. Preparata ogni cosa in modo ordinato, si fa, come di consueto, la processione attraverso la chiesa fino all’altare. I sacerdoti concelebranti precedono il celebrante principale.

211. Giunti all’altare, i sacerdoti concelebranti e il sacerdote celebrante principale, fatto un profondo inchino, venerano l’altare con il bacio, quindi si recano al posto loro assegnato. Il sacerdote celebrante principale, secondo l’opportunità, incensa la croce e l’altare; si reca poi alla sede.

Liturgia della Parola

212. Durante la Liturgia della Parola, i sacerdoti concelebranti stanno al loro posto, e nel sedere e nell’alzarsi si uniformano al sacerdote celebrante principale.

Iniziato il canto dell’Alleluia, tutti si alzano, tranne il Vescovo, che impone l’incenso senza nulla dire e benedice il diacono o, se questo è assente, il concelebrante che proclamerà il Vangelo. Tuttavia nella concelebrazione presieduta da un presbitero, il concelebrante che proclama il Vangelo in assenza del diacono né chiede né riceve la benedizione del celebrante principale.

213. L’omelia è tenuta normalmente dal sacerdote celebrante principale o da uno dei concelebranti.

Liturgia eucaristica

214. La preparazione dei doni (Cf. nn. 139-146) viene compiuta dal celebrante principale; gli altri concelebranti restano al loro posto.

215. Dopo che il celebrante principale ha recitato l’orazione sulle offerte, i concelebranti si avvicinano all’altare disponendosi attorno ad esso, in modo però da non intralciare lo svolgimento dei riti, da permettere ai fedeli di vedere bene l’azione sacra e al diacono di avvicinarsi facilmente all’altare per svolgere il suo ministero.

Il diacono eserciti il suo ministero all’altare, servendo quando è necessario al calice e al Messale. Tuttavia, per quanto è possibile, egli sta abbastanza arretrato, un po’ indietro rispetto ai sacerdoti concelebranti che si dispongono attorno al celebrante principale.

Modo di dire la Preghiera eucaristica

216. Il prefazio viene cantato o detto dal solo sacerdote celebrante principale; il Santo viene cantato o recitato da tutti i concelebranti insieme con il popolo e la schola.

217. Terminato il Santo, i sacerdoti concelebranti proseguono la recita della Preghiera eucaristica, nel modo sotto indicato.

Soltanto il celebrante principale compie i gesti, salvo indicazioni contrarie.

218. Le parti che sono pronunciate da tutti i concelebranti, in modo particolare le parole della consacrazione, che tutti sono tenuti ad esprimere, si devono recitare sottovoce, in modo che venga udita chiaramente la voce del celebrante principale. In tal modo le parole sono più facilmente intese dal popolo.

Le parti che devono essere dette insieme da tutti i concelebranti, se sul Messale sono musicate, è bene che vengano cantate.

Preghiera eucaristica I o Canone romano

219. Nella Preghiera eucaristica I o Canone Romano, solo il celebrante principale, con le braccia allargate, dice il Padre clementissimo.

220. Il ricordo dei vivi Ricordati, Signore e il In comunione conviene siano affidati all’uno o all’altro dei sacerdoti concelebranti, che dice queste preghiere da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

221. Il solo celebrante principale, con le braccia allargate, dice l’Accetta con benevolenza, o Signore.

222. Da Santifica, o Dio fino a Ti supplichiamo, Dio onnipotente il celebrante principale compie i gesti, tutti i concelebranti però recitano insieme tutte le formule, in questo modo:

a) Santifica, o Dio: con le mani stese verso le offerte;

b) La vigilia e Dopo la cena: a mani giunte;

c) alle parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla loro presentazione, i concelebranti sollevano lo sguardo verso l’ostia consacrata e il calice, poi si inchinano profondamente;

d) In questo sacrificio e Volgi sulla nostra offerta: con le braccia allargate;

e) Ti supplichiamo, Dio onnipotente: stando inchinati e a mani giunte fino alle parole: perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare; poi, eretti, i concelebranti fanno il segno di croce alle parole: scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo.

223. Il ricordo dei morti Ricordati, o Signore e Anche a noi, tuoi ministri, peccatori, conviene siano affidati all’uno o all’altro dei concelebranti, che dice queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

224. Alle parole Anche a noi, tuoi ministri, peccatori, tutti i concelebranti si battono il petto.

225. Solo il celebrante principale dice: Per Cristo, nostro Signore, tu, o Dio.

Preghiera eucaristica II

226. Nella Preghiera eucaristica II solo il celebrante principale, con le braccia allargate, dice il Padre veramente santo.

227. Tutti i concelebranti recitano insieme tutte le formule da Santifica questi doni fino a Ti preghiamo umilmente, in questo modo:

a) Santifica questi doni: con le mani stese verso le offerte;

b) Egli, offrendosi liberamente e Dopo la cena: a mani giunte;

c) le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla loro presentazione, i concelebranti sollevano lo sguardo verso l’ostia consacrata e il calice, poi si inchinano profondamente;

d) Celebrando il memoriale e Ti preghiamo umilmente: con le braccia allargate.

228. Le intercessioni per i vivi: Ricordati, Padre e per i defunti: Ricordati dei nostri fratelli, conviene siano affidate all’uno o all’altro dei sacerdoti concelebranti, che dice queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

Preghiera eucaristica III

229. Nella Preghiera eucaristica III solo il celebrante principale, con le braccia allargate, dice il Padre veramente santo.

230. Tutti i concelebranti recitano insieme tutte le formule da Ora ti preghiamo umilmente fino a Guarda con amore, in questo modo:

a) Ora ti preghiamo umilmente: con le mani stese verso le offerte;

b) Nella notte in cui fu tradito e Dopo la cena a mani giunte;

c) le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla loro presentazione, i concelebranti sollevano lo sguardo verso l’ostia consacrata e il calice, poi si inchinano profondamente;

d) Celebrando il memoriale e Guarda con amore: con le braccia allargate.

231. Le intercessioni: Egli faccia di noi, Per questo sacrificio di riconciliazione e Accogli nel tuo regno, conviene siano affidate all’uno o all’altro dei sacerdoti concelebranti, che recita queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

Preghiera eucaristica IV

232. Nella Preghiera eucaristica IV solo il celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice Noi ti lodiamo, Padre santo, fino a compiere ogni santificazione.

233. Tutti i concelebranti dicono insieme tutte le formule da Ora ti preghiamo, Padre, fino a Guarda con amore, in questo modo:

a) Ora ti preghiamo, Padre: con le mani stese verso le offerte;

b) Egli, venuta l’ora e Allo stesso modo: a mani giunte;

c) le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla loro presentazione, i concelebranti sollevano lo sguardo verso l’ostia consacrata e il calice, poi si inchinano profondamente:

d) In questo memoriale e Guarda con amore: con le braccia allargate.

234. Le intercessioni: Ora, Padre, ricordati e Padre misericordioso conviene siano affidate alternativamente a uno dei sacerdoti concelebranti, che dice queste parti da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.

235. Per quanto riguarda le altre Preghiere eucaristiche approvate dalla Sede Apostolica, si osservino le norme stabilite per ciascuna di esse.

236. La dossologia finale della Preghiera eucaristica viene recitata solamente dal sacerdote celebrante principale e, se sembra opportuno, insieme agli altri concelebranti, non invece dai fedeli.

Riti di Comunione

237. Quindi il celebrante principale, a mani giunte, dice la monizione prima della preghiera del Signore; poi, con le braccia allargate, recita il Padre nostro insieme con gli altri sacerdoti concelebranti, i quali pure allargano le braccia, e con il popolo.

238. Il solo celebrante principale, con le braccia allargate, prosegue: Liberaci. Al termine, tutti i concelebranti, insieme con il popolo, acclamano: Tuo è il regno.

239. Dopo l’invito del diacono o, se questo è assente, di uno dei concelebranti: Scambiatevi il dono della pace, tutti si scambiano tra loro la pace. Coloro che sono più vicini al celebrante principale ricevono da lui la pace prima del diacono.

240. Mentre si canta o si dice l’Agnello di Dio, i diaconi o alcuni dei concelebranti possono aiutare il celebrante principale nello spezzare le ostie per la Comunione dei concelebranti e del popolo.

241. Compiuta la immixtio, soltanto il celebrante principale recita sottovoce, a mani giunte, la preghiera: Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, oppure La Comunione con il tuo Corpo e il tuo Sangue.

242. Terminata la preghiera prima della Comunione, il celebrante principale genuflette e si scosta un poco dall’altare. I concelebranti, uno dopo l’altro, si accostano al centro dell’altare, genuflettono, prendono con devozione il Corpo di Cristo e, tenendo la mano sinistra sotto la destra, ritornano al loro posto. I concelebranti possono anche rimanere al loro posto e prendere il Corpo di Cristo dalla patena presentata ai singoli dal celebrante principale o da uno o più concelebranti; possono anche passarsi l’un l’altro la patena.

243. Poi il celebrante principale prende l’ostia consacrata nella stessa Messa e, tenendola un po’ sollevata sopra la patena o sopra il calice, rivolto al popolo dice: Ecco l’Agnello di Dio e prosegue insieme con i sacerdoti concelebranti e il popolo, dicendo: O Signore, non sono degno.

244. Quindi il celebrante principale, rivolto verso l’altare, dice sottovoce: Il Corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna, e devotamente si comunica al Corpo di Cristo. Allo stesso modo si comunicano i concelebranti. Dopo di loro il diacono riceve dal celebrante principale il Corpo e il Sangue del Signore.

245. La Comunione al Sangue di Cristo si può fare bevendo direttamente dal calice, per intinzione, con la cannuccia o con il cucchiaino.

246. Se si fa la Comunione direttamente al calice, si può fare in uno di questi modi:

a) il celebrante principale, stando in mezzo all’altare, prende il calice, dicendo sottovoce: Il Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna e beve al calice, che consegna poi al diacono o a un concelebrante; quindi distribuisce la Comunione ai fedeli (Cf. nn. 160-162)

I concelebranti, uno dopo l’altro, oppure a due a due, se vi sono due calici, si accostano all’altare, genuflettono, assumono il Sangue, astergono il labbro del calice e ritornano al loro posto.

b) Il celebrante principale, stando in mezzo all’altare, fa la Comunione al Sangue del Signore nel modo consueto.

I concelebranti possono rimanere al loro posto, e far la Comunione al Sangue del Signore bevendo al calice che viene loro presentato dal diacono o da uno dei concelebranti; oppure anche passandosi il calice l’un l’altro. Il labbro del calice viene sempre asterso da colui che beve o da chi lo presenta ai singoli. Dopo essersi comunicato, ognuno ritorna al suo posto.

247. Il diacono devotamente consuma all’altare tutto il Sangue di Cristo che è rimasto, con l’aiuto, se è il caso, di alcuni concelebranti, quindi porta il calice alla credenza, dove lui stesso o l’accolito istituito compie la purificazione, asterge il calice e lo riordina come di consueto (Cf. n. 183).

248. La Comunione dei concelebranti può anche essere ordinata in modo che i singoli comunichino al Corpo e, subito dopo, al Sangue del Signore presso l’altare.

In questo caso, il celebrante principale si comunica sotto le due specie, come di consueto (Cf. n. 158), attenendosi tuttavia al rito scelto nei singoli casi per la Comunione al calice: rito al quale devono conformarsi tutti gli altri concelebranti.

Dopo che il celebrante principale si è comunicato, il calice viene deposto al lato destro dell’altare, sopra un altro corporale. I concelebranti, uno dopo l’altro, si portano al centro dell’altare, genuflettono e si comunicano al Corpo del Signore; successivamente, al lato destro dell’altare, si comunicano al Sangue del Signore, secondo il rito adottato per la Comunione al calice, come è detto sopra.

La Comunione del diacono e la purificazione del calice si svolgono secondo le modalità sopra indicate.

249. Se la Comunione dei concelebranti si fa per intinzione, il celebrante principale si comunica al Corpo e al Sangue del Signore nel modo consueto, facendo però attenzione a lasciarne nel calice una quantità sufficiente per la Comunione dei concelebranti. Poi il diacono, oppure uno dei concelebranti, dispone opportunamente il calice insieme con la patena che contiene le ostie, in mezzo all’altare o a un suo lato sopra un altro corporale.

I concelebranti, uno dopo l’altro, si accostano all’altare, genuflettono, prendono l’ostia, la intingono nel calice e, tenendo il purificatoio sotto il mento, si comunicano; ritornano poi al loro posto, come all’inizio della Messa.

Anche il diacono riceve la Comunione per intinzione e risponde Amen quando un concelebrante dice: Il Corpo e il Sangue di Cristo. Quindi il diacono, se è il caso con l’aiuto di alcuni concelebranti, all’altare, beve quanto è rimasto nel calice, poi lo porta alla credenza, dove egli stesso o l’accolito istituito compie la purificazione, asterge il calice e lo riordina come di consueto.

Riti di conclusione

250. Il celebrante principale compie i riti di conclusione nel modo consueto (Cf. nn. 166-169), mentre i concelebranti rimangono al loro posto.

251. I concelebranti, prima di allontanarsi dall’altare, fanno un profondo inchino. Il celebrante principale, invece, con il diacono venera l’altare con il bacio.

III. MESSA A CUI PARTECIPA UN SOLO MINISTRO (252 - 272)

252. Nella Messa celebrata dal sacerdote con la sola presenza di un ministro che gli risponde, si osserva il rito della Messa con il popolo (Cf. nn. 120-169).

Il ministro secondo l’opportunità pronuncia le parti che spettano al popolo.

253. Se tuttavia il ministro è un diacono, egli compie gli uffici che gli sono propri (Cf. nn. 171-186) e svolge le altre parti del popolo.

254. La celebrazione senza ministro o senza almeno qualche fedele non si faccia se non per un giusto e ragionevole motivo. In questo caso si tralasciano i saluti, le monizioni e la benedizione al termine della Messa.

255. Prima della Messa i vasi sacri necessari si preparano o alla credenza o sull’altare al lato destro.

Riti di introduzione

256. Il sacerdote si accosta all’altare e, fatto con il ministro un profondo inchino, venera l’altare con il bacio e si reca alla sede. Se lo preferisce, il sacerdote può rimanere all’altare: in questo caso lì si prepara anche il Messale. Allora il ministro o il sacerdote recita l’antifona d’ingresso.

257. Quindi il sacerdote con il ministro, stando in piedi, si segna con il segno della croce e dice: Nel nome del Padre; rivolto al ministro lo saluta, scegliendo una delle formule proposte.

258. Poi compie l’atto penitenziale e, secondo le rubriche, dice il Kyrie e il Gloria.

259. Poi, a mani giunte, dice Preghiamo e, dopo una conveniente pausa, dice, con le braccia allargate, la colletta, al termine della quale il ministro risponde: Amen.

Liturgia della Parola

260. Le letture, per quanto è possibile, si fanno dall’ambone o da un leggio.

261. Dopo la colletta, il ministro legge la prima lettura e il salmo e, quando si deve dire, la seconda lettura e il versetto alleluiatico, o un altro canto.

262. Quindi, il sacerdote, profondamente inchinato, dice: Purifica il mio cuore, poi legge il Vangelo. Alla fine dice: Parola del Signore, a cui il ministro risponde: Lode a te, o Cristo. Poi il sacerdote venera il libro con il bacio, dicendo sottovoce: La parola del Vangelo.

263. Il sacerdote recita poi, secondo le rubriche, il simbolo insieme con il ministro.

264. Segue la preghiera universale, che si può dire anche in questa Messa. Il sacerdote introduce e conclude la preghiera, mentre il ministro formula le intenzioni.

Liturgia eucaristica

265. Nella Liturgia eucaristica tutto si svolge come nella Messa con il popolo, tranne ciò che segue.

266. Dopo l’acclamazione al termine dell’embolismo che segue il Padre nostro, il sacerdote dice la preghiera: Signore Gesù Cristo, che hai detto; quindi soggiunge: La pace del Signore sia sempre con voi, e il ministro risponde: E con il tuo spirito. Se lo ritiene opportuno, il sacerdote offre la pace al ministro.

267. Quindi, mentre dice l’Agnello di Dio insieme con il ministro, il sacerdote spezza l’ostia sopra la patena. Terminato l’Agnello di Dio, compie l’immixtio dicendo sottovoce: Il Corpo e il Sangue... uniti in questo calice.

268. Dopo l’immixtio, il sacerdote dice la preghiera Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, oppure La Comunione con il tuo Corpo e il tuo Sangue; quindi genuflette, prende l’ostia e, se il ministro fa la Comunione, si volta verso di lui. Tenendo l’ostia un po’ sollevata sopra la patena o sopra il calice, dice: Ecco l’Agnello di Dio e continua con lui: O Signore non sono degno. Rivolto poi verso l’altare, si comunica al Corpo di Cristo. Se invece il ministro non riceve la Comunione, il sacerdote prende l’ostia e, stando rivolto all’altare, dice sottovoce: O Signore, non sono degno, e Il Corpo di Cristo mi custodisca e quindi assume il Corpo del Signore. Quindi prende il calice e dice sottovoce: Il Sangue di Cristo mi custodisca e assume il Sangue.

269. Prima di dare la Comunione al ministro, il ministro o lo stesso sacerdote legge l’antifona alla Comunione.

270. Il sacerdote purifica il calice alla credenza o all’altare. Se il calice viene purificato all’altare, può essere portato alla credenza dal ministro o essere riposto sopra l’altare a lato.

271. Dopo aver purificato il calice, conviene che il sacerdote osservi una pausa di silenzio; poi dice l’orazione dopo la Comunione.

Riti di conclusione

272. I riti di conclusione si svolgono come nella Messa con il popolo, tralasciato il congedo. Il sacerdote nel modo solito venera l’altare con il bacio e, fatto un profondo inchino, insieme al ministro si allontana.

IV. ALCUNE NORME DI CARATTERE GENERALE PER TUTTE LE FORME DI MESSA (273 - 287)

Venerazione dell’altare e dell’Evangeliario

273. Secondo l’uso tramandato, la venerazione dell’altare e dell’Evangeliario si esprime con il bacio. Qualora però questo gesto simbolico non corrispondesse pienamente alle tradizioni e alla cultura di una determinata regione, spetta alla Conferenza Episcopale determinare, con il consenso della Sede Apostolica, un gesto che sostituisca il bacio.

Genuflessione e inchino

274. La genuflessione, che si fa piegando il ginocchio destro fino a terra, significa adorazione; perciò è riservata al SS. Sacramento e alla santa Croce, dalla solenne adorazione nell’Azione liturgica del Venerdì nella Passione del Signore fino all’inizio della Veglia pasquale.

Nella Messa vengono fatte dal sacerdote celebrante tre genuflessioni, cioè: dopo l’ostensione dell’ostia, dopo l’ostensione del calice e prima della Comunione. Le particolarità da osservarsi nella Messa concelebrata sono indicate a suo luogo (Cf. nn. 210-251).

Se nel presbiterio ci fosse il tabernacolo con il Ss.mo Sacramento, il sacerdote, il diacono e gli altri ministri genuflettono quando giungono all’altare o quando si allontanano, non invece durante la stessa celebrazione della Messa.

Inoltre genuflettono tutti coloro che passano davanti al Ss.mo Sacramento, se non procedono in processione.

I ministri che portano la croce processionale o i ceri, al posto della genuflessione fanno un inchino col capo.

275. Con l’inchino si indicano la riverenza e l’onore che si danno alle persone o ai loro segni. Vi sono due specie di inchino, del capo e del corpo:

a) L’inchino del capo si fa quando vengono nominate insieme le tre divine Persone; al nome di Gesù, della beata Vergine Maria e del Santo in onore del quale si celebra la Messa.

b) L’inchino di tutto il corpo, o inchino profondo, si fa: all’altare; mentre si dicono le preghiere Purifica il mio cuore e Umili e pentiti; nel simbolo (Credo) alle parole: E per opera dello Spirito Santo; nel canone romano, alle parole: Ti supplichiamo, Dio onnipotente. Il diacono compie lo stesso inchino mentre chiede la benedizione prima di proclamare il Vangelo. Inoltre il sacerdote, alla consacrazione, si inchina leggermente mentre proferisce le parole del Signore.

L’incensazione

276. L’incensazione esprime riverenza e preghiera, come è indicato nella sacra Scrittura (Cf. Sal 140, 2; Ap 8, 3).

L’uso dell’incenso in qualsiasi forma di Messa è facoltativo:

a) durante la processione d’ingresso;

b) all’inizio della Messa, per incensare la croce e l’altare;

c) alla processione e alla proclamazione del Vangelo;

d) quando sono stati posti sull’altare il pane e il calice, per incensare le offerte, la croce e l’altare, il sacerdote e il popolo;

e) alla presentazione dell’ostia e del calice dopo la consacrazione.

277. Il sacerdote quando mette l’incenso nel turibolo lo benedice tracciando un segno di croce, senza nulla dire.

Prima e dopo l’incensazione si fa un profondo inchino alla persona o alla cosa che viene incensata, non però all’altare e alle offerte per il sacrificio della Messa.

Con tre colpi del turibolo si incensano: il SS. Sacramento, la reliquia della santa Croce e le immagini del Signore esposte alla pubblica venerazione, le offerte per il sacrificio della Messa, la croce dell’altare, l’Evangeliario, il cero pasquale, il sacerdote e il popolo.

Con due colpi si incensano le reliquie e le immagini dei Santi esposte alla pubblica venerazione, unicamente all’inizio della celebrazione, quando si incensa l’altare.

L’altare si incensa con singoli colpi in questo modo:

a) Se l’altare è separato dalla parete, il sacerdote lo incensa girandogli intorno;

b) Se invece l’altare è addossato alla parete, il sacerdote lo incensa passando prima la parte destra dell’altare, poi la sinistra.

La croce, se è sopra l’altare o accanto ad esso, viene incensata prima dell’altare; altrimenti quando il sacerdote le passa davanti.

Il sacerdote incensa le offerte prima dell’incensazione della croce e dell’altare con tre colpi di turibolo, oppure facendo col turibolo il segno di croce sopra le offerte.

La purificazione

278. Ogni volta che qualche frammento di ostia rimane attaccato alle dita, soprattutto dopo la frazione o dopo la Comunione dei fedeli, il sacerdote asterga le dita sulla patena, oppure, se necessario, lavi le dita stesse. Così pure raccolga eventuali frammenti fuori della patena.

279. I vasi sacri vengono purificati dal sacerdote, dal diacono o dall’accolito istituito, dopo la Comunione, oppure dopo la Messa, possibilmente alla credenza. La purificazione del calice si fa con acqua o con acqua e vino, che poi quello che purifica beve. La patena si asterge normalmente con il purificatoio.

Si presti attenzione a che si consumi subito e totalmente all’altare quanto per caso rimane del Sangue di Cristo dopo la distribuzione della Comunione.

280. Se un’ostia o una particola scivolasse via, si raccolga con rispetto; se poi si versasse qualche goccia del Sangue del Signore, si lavi il luogo con acqua, e l’acqua si versi nel sacrario che si trova in sagrestia.

La Comunione sotto le due specie

281. La santa Comunione esprime con maggior pienezza la sua forma di segno, se viene fatta sotto le due specie. Risulta infatti più evidente il segno del banchetto eucaristico, e si esprime più chiaramente la volontà divina di ratificare la nuova ed eterna alleanza nel Sangue del Signore, ed è più intuitivo il rapporto tra il banchetto eucaristico e il convito escatologico nel regno del Padre[106].

282. I pastori d’anime si facciano un dovere di ricordare, nel modo più adatto, ai fedeli che partecipano al rito o che vi assistono, la dottrina cattolica riguardo alla forma della Comunione, secondo il Concilio Ecumenico di Trento. In particolare ricordino ai fedeli quanto insegna la fede cattolica: che, cioè, anche sotto una sola specie si riceve il Cristo tutto intero e il Sacramento in tutta la sua verità; di conseguenza, per quanto riguarda i frutti della Comunione, coloro che ricevono una sola specie, non rimangono privi di nessuna grazia necessaria alla salvezza[107].

Inoltre insegnino che nell’amministrazione dei Sacramenti, salva la loro sostanza, la Chiesa ha il potere di determinare o cambiare ciò che essa ritiene più conveniente per la venerazione dovuta ai Sacramenti stessi e per l’utilità di coloro che li ricevono secondo la diversità delle circostanze, dei tempi e dei luoghi[108]. Nello stesso tempo però esortino i fedeli perché partecipino più intensamente al sacro rito, nella forma in cui è posto in maggior evidenza il segno del banchetto.

283. La Comunione sotto le due specie è permessa, oltre ai casi descritti nei libri rituali:

a) ai sacerdoti che non possono celebrare o concelebrare;

b) al diacono e agli altri che compiono qualche ufficio nella Messa;

c) ai membri delle comunità nella Messa conventuale o in quella che si dice «della comunità», agli alunni dei seminari, a tutti coloro che attendono agli esercizi spirituali o partecipano ad un convegno spirituale o pastorale.

Il Vescovo diocesano può stabilire per la sua diocesi norme riguardo alla Comunione sotto le due specie, da osservarsi anche nelle chiese dei religiosi e nei piccoli gruppi. Allo stesso Vescovo è data facoltà di permettere la Comunione sotto le due specie ogni volta che sembri opportuno al sacerdote al quale, come pastore proprio, è affidata la comunità, purché i fedeli siano ben preparati e non ci sia pericolo di profanazione del Sacramento o la celebrazione non risulti troppo difficoltosa per il gran numero di partecipanti o per altra causa.

Circa il modo di distribuire ai fedeli la sacra Comunione sotto le due specie e circa l’estensione delle facoltà, le Conferenze Episcopali possono stabilire delle norme, approvate dalla Sede Apostolica.

284. Quando si distribuisce la Comunione sotto le due specie:

a) per il calice solitamente compie il servizio il diacono, o, in sua assenza, il sacerdote; o anche l’accolito istituito o un altro ministro straordinario della sacra Comunione; o un fedele a cui, in caso di necessità, viene affidato questo compito per l’occasione;

b) ciò che rimane del Sangue viene consumato all’altare dal sacerdote, dal diacono o dall’accolito istituito che ha prestato servizio per il calice e che poi, nel modo solito purifica, asterge e ordina i vasi sacri.

Ai fedeli che vogliono comunicarsi solo sotto la specie del pane, la sacra Comunione si dia in questa forma.

285. Per distribuire la Comunione sotto le due specie, si devono preparare:

a) se la Comunione si fa bevendo direttamente dal calice, o un calice di sufficiente grandezza o più calici, con attenzione tuttavia nel prevedere che la quantità del Sangue di Cristo da consumare alla fine della celebrazione non rimanga in misura sovrabbondante;

b) se si fa per intinzione, ostie né troppo sottili né troppo piccole, ma un poco più consistenti del solito, perché si possano convenientemente distribuire, dopo averle intinte parzialmente nel Sangue del Signore.

286. Se la Comunione al Sangue si fa bevendo dal calice, il comunicando, dopo aver ricevuto il Corpo di Cristo, va dal ministro del calice e si ferma davanti a lui. Il ministro dice: Il Sangue di Cristo; il comunicando risponde: Amen, e, il ministro gli porge il calice, che lo stesso comunicando accosta alle labbra con le sue mani. Il comunicando beve un po’ dal calice, lo restituisce al ministro e si allontana; il ministro asterge con il purificatoio il labbro del calice.

287. Se la Comunione al calice si fa per intinzione, il comunicando, tenendo la patena sotto il mento, va dal sacerdote che tiene il vaso con le particole, al cui fianco sta il ministro che tiene il calice. Il sacerdote prende l’ostia, ne intinge una parte nel calice e mostrandola dice: Il Corpo e il Sangue di Cristo; il comunicando risponde: Amen, dal sacerdote riceve in bocca il Sacramento, e poi si allontana.

Capitolo V - DISPOSIZIONE E ARREDAMENTO DELLE CHIESE PER LA CELEBRAZIONE DELLA EUCARISTIA

I. Principi generali (288 - 294)

288. Per la celebrazione dell’Eucaristia, il popolo di Dio si riunisce di solito nella chiesa oppure, se questa manca o è insufficiente, in un altro luogo decoroso che sia tuttavia degno di un così grande mistero. Quindi le chiese, o gli altri luoghi, siano adatte alla celebrazione delle azioni sacre e all’attiva partecipazione dei fedeli. Inoltre i luoghi sacri e le cose che servono al culto siano davvero degne, belle, segni e simboli delle realtà celesti[109].

289. Pertanto la Chiesa non cessa di fare appello al nobile servizio delle arti e ammette le forme artistiche di tutti i popoli e di tutti i paesi[110]. Anzi, come si sforza di conservare le opere d’arte e i tesori che i secoli passati hanno trasmesso[111] e, per quanto è possibile, cerca di adattarli alle nuove esigenze, cerca pure di promuovere nuove forme corrispondenti all’indole di ogni epoca[112].

Perciò nella formazione degli artisti come pure nella scelta delle opere da ammettere nella chiesa, si ricerchino gli autentici valori dell’arte, che alimentino la fede e la devozione e corrispondano alla verità del loro significato e al fine cui sono destinate[113].

290. Tutte le chiese siano dedicate o almeno benedette. Le chiese cattedrali e parrocchiali siano dedicate con rito solenne.

291. Tutti coloro che sono interessati alla costruzione, alla ristrutturazione e all’adeguamento delle chiese, consultino la Commissione diocesana di Liturgia e Arte sacra. Il Vescovo diocesano, poi, si serva del consiglio e dell’aiuto della stessa Commissione quando si tratta di dare norme in questa materia o di approvare progetti di nuove chiese o di definire questioni di una certa importanza[114].

292. L’arredamento della chiesa si ispiri a una nobile semplicità, piuttosto che al fasto. Nella scelta degli elementi per l’arredamento, si curi la verità delle cose e si tenda all’educazione dei fedeli e alla dignità di tutto il luogo sacro.

293. Una conveniente disposizione della chiesa e dei suoi accessori, che rispondano opportunamente alle esigenze del nostro tempo, richiede che non si curino solo le cose più direttamente pertinenti alla celebrazione delle azioni sacre, ma che si preveda anche ciò che contribuisce alla comodità dei fedeli, e che abitualmente si trova nei luoghi dove il popolo si raduna.

294. Il popolo di Dio, che si raduna per la Messa, ha una struttura organica e gerarchica, che si esprime nei vari compiti e nel diverso comportamento secondo le singole parti della celebrazione. Pertanto è necessario che la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo modo l’immagine dell’assemblea riunita, consentire l’ordinata e organica partecipazione di tutti e favorire il regolare svolgimento dei compiti di ciascuno.

I fedeli e la schola avranno un posto che renda più facile la loro partecipazione attiva[115].

Il sacerdote celebrante, il diacono e gli altri ministri prenderanno posto nel presbiterio. Lì si preparino le sedi dei concelebranti; se però il loro numero è grande, si dispongano le loro sedi in altra parte della chiesa, ma vicino all’altare.

Queste disposizioni servono a esprimere la struttura gerarchica e la diversità dei compiti, ma devono anche assicurare una più profonda e organica unità, attraverso la quale si manifesti chiaramente l’unità di tutto il popolo santo. La natura e la bellezza del luogo e di tutta la suppellettile devono poi favorire la pietà e manifestare la santità dei misteri che vengono celebrati.

II. Ordinamento del presbiterio per la Celebrazione eucaristica (295 – 310)

295. Il presbiterio è il luogo dove si trova l’altare, viene proclamata la parola di Dio, e il sacerdote, il diacono e gli altri ministri esercitano il loro ufficio. Si deve opportunamente distinguere dalla navata della chiesa per mezzo di una elevazione, o mediante strutture e ornamenti particolari. Sia inoltre di tale ampiezza da consentire un comodo svolgimento della celebrazione dell’Eucaristia e da favorire la sua visione[116].

L’altare e le sue suppellettili

296. L’altare, sul quale si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce, è anche la mensa del Signore, alla quale il popolo di Dio è chiamato a partecipare quando è convocato per la Messa; l’altare è il centro dell’azione di grazie che si compie con l’Eucaristia.

297. La celebrazione dell’Eucaristia, nel luogo sacro, si deve compiere sopra un altare; fuori del luogo sacro, invece, si può compiere anche sopra un tavolo adatto, purché vi siano sempre una tovaglia e il corporale, la croce e i candelabri.

298. Conviene che in ogni chiesa ci sia l’altare fisso, che significa più chiaramente e permanentemente Gesù Cristo, pietra viva (1Pt 2,4; cf. Ef 2,20); negli altri luoghi, destinati alle celebrazioni sacre, l’altare può essere mobile.

L’altare si dice fisso se è costruito in modo da aderire al pavimento e non poter quindi venir rimosso; si dice invece mobile se lo si può trasportare.

299. L’altare sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo: la qual cosa è conveniente realizzare ovunque sia possibile. L’altare sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione dei fedeli[117]. Normalmente sia fisso e dedicato.

300. L’altare, sia fisso che mobile, sia dedicato secondo il rito descritto nel Pontificale Romano; tuttavia l’altare mobile può essere solamente benedetto.

301. Secondo un uso e un simbolismo tradizionali nella Chiesa, la mensa dell’altare fisso sia di pietra, e più precisamente di pietra naturale. Tuttavia, a giudizio della Conferenza Episcopale, si può adoperare anche un’altra materia degna, solida e ben lavorata. Gli stipiti però e la base per sostenere la mensa possono essere di qualsiasi materiale, purché conveniente e solido.

L’altare mobile può essere costruito con qualsiasi materiale di un certo pregio e solido, confacente all’uso liturgico, secondo lo stile e gli usi locali delle diverse regioni.

302. Si mantenga l’uso di deporre sotto l’altare da dedicare le reliquie dei Santi, anche se non martiri. Però si curi di verificare l’autenticità di tali reliquie.

303. Nelle nuove chiese si costruisca un solo altare che significhi alla comunità dei fedeli l’unico Cristo e l’unica Eucaristia della Chiesa.

Nelle chiese già costruite, quando il vecchio altare è collocato in modo da rendere difficile la partecipazione del popolo e non può essere rimosso senza danneggiare il valore artistico, si costruisca un altro altare fisso, realizzato con arte e debitamente dedicato. Soltanto sopra questo altare si compiano le sacre celebrazioni. Il vecchio altare non venga ornato con particolare cura per non sottrarre l’attenzione dei fedeli dal nuovo altare.

304. Per rispetto verso la celebrazione del memoriale del Signore e verso il convito nel quale vengono presentati il Corpo e il Sangue di Cristo, si distenda sopra l’altare sul quale si celebra almeno una tovaglia di colore bianco, che sia adatta alla struttura dell’altare per la forma, la misura e l’ornamento.

305. Nell’ornare l’altare si agisca con moderazione.

Nel tempo d’Avvento l’altare sia ornato di fiori con quella misura che conviene alla natura di questo tempo, evitando di anticipare la gioia piena della Natività del Signore. Nel tempo di Quaresima è proibito ornare l’altare con fiori. Fanno eccezione tuttavia la domenica Laetare (IV di Quaresima), le solennità e le feste.

L’ornamento dei fiori sia sempre misurato e, piuttosto che sopra la mensa dell’altare, si disponga attorno ad esso.

306. Infatti sopra la mensa dell’altare possono disporsi solo le cose richieste per la celebrazione della Messa: l’Evangeliario dall’inizio della celebrazione fino alla proclamazione del Vangelo; il calice con la patena, la pisside, se è necessaria, il corporale, il purificatoio, la palla e il Messale, siano disposti sulla mensa solo dal momento della presentazione dei doni fino alla purificazione dei vasi.

Si collochi pure in modo discreto ciò che può essere necessario per amplificare la voce del sacerdote.

307. I candelabri, richiesti per le singole azioni liturgiche, in segno di venerazione e di celebrazione festiva (Cf. n. 117), siano collocati o sopra l’altare, oppure accanto ad esso, tenuta presente la struttura sia dell’altare che del presbiterio, in modo da formare un tutto armonico; e non impediscano ai fedeli di vedere comodamente ciò che si compie o viene collocato sull’altare.

308. Inoltre vi sia sopra l’altare, o accanto ad esso, una croce, con l’immagine di Cristo crocifisso, ben visibile allo sguardo del popolo radunato. Conviene che questa croce rimanga vicino all’altare anche al di fuori delle celebrazioni liturgiche, per ricordare alla mente dei fedeli la salvifica Passione del Signore.

L’ambone

309. L’importanza della parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunciata, e verso il quale, durante la Liturgia della Parola, spontaneamente si rivolga l’attenzione dei fedeli[118].

Conviene che tale luogo generalmente sia un ambone fisso e non un semplice leggio mobile. L’ambone, secondo la struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modo tale che i ministri ordinati e i lettori possano essere comodamente visti e ascoltati dai fedeli.

Dall’ambone si proclamano unicamente le letture, il salmo responsoriale e il preconio pasquale; ivi inoltre si possono proferire l’omelia e le intenzioni della preghiera universale o preghiera dei fedeli. La dignità dell’ambone esige che ad esso salga solo il ministro della Parola.

È conveniente che il nuovo ambone sia benedetto, prima di esser destinato all’uso liturgico, secondo il rito descritto nel Rituale Romano[119].

La sede per il sacerdote celebrante e le altre sedi

310. La sede del sacerdote celebrante deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l’assemblea e di guidare la preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta al popolo, al fondo del presbiterio, a meno che non vi si oppongano la struttura dell’edificio e altri elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile la comunicazione tra il sacerdote e i fedeli riuniti, o se il tabernacolo occupa un posto centrale dietro l’altare. Si eviti ogni forma di trono[120]. È conveniente che la sede sia benedetta, prima di esser destinata all’uso liturgico, secondo il rito descritto nel Rituale Romano[121].

Nel presbiterio siano collocate inoltre le sedi per i sacerdoti concelebranti e quelle per i presbiteri che, indossando la veste corale, sono presenti alla celebrazione, senza concelebrare.

La sede del diacono sia posta vicino alla sede del celebrante. Per gli altri ministri le sedi siano disposte in modo che si distinguano dalle sedi del clero e che sia permesso loro di esercitare con facilità il proprio ufficio[122].

III. La disposizione della Chiesa (311 – 318)

I posti dei fedeli

311. Si curi in modo particolare la collocazione dei posti dei fedeli, perché possano debitamente partecipare, con lo sguardo e con lo spirito, alle sacre celebrazioni. È bene mettere a loro disposizione banchi e sedie. Si deve però riprovare l’uso di riservare dei posti a persone private[123]. Le sedie o i banchi, specialmente nelle nuove chiese, vengano disposti in modo che i fedeli possano assumere comodamente i diversi atteggiamenti del corpo richiesti dalle diverse parti della celebrazione, e recarsi senza difficoltà a ricevere la santa Comunione.

Si abbia cura che i fedeli possano non solo vedere, ma anche, ascoltare comodamente sia il sacerdote, sia il diacono che i lettori grazie ai mezzi tecnici moderni.

Il posto della "schola cantorum" e degli strumenti musicali

312. La schola cantorum, tenuto conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo da mettere chiaramente in risalto la sua natura: che essa cioè è parte della comunità dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio; sia agevolato perciò il compimento del suo ministero liturgico e sia facilitata a ciascuno dei membri della schola la partecipazione sacramentale piena alla Messa[124].

313. L’organo e gli altri strumenti musicali legittimamente ammessi siano collocati in luogo adatto, in modo da poter essere di appoggio sia alla schola sia al popolo che canta e, se vengono suonati da soli, possano essere facilmente ascoltati da tutti. È conveniente che l’organo venga benedetto prima di esser destinato all’uso liturgico, secondo il rito descritto nel Rituale Romano[125].

In tempo d’Avvento l’organo e altri strumenti musicali siano usati con quella moderazione che conviene alla natura di questo tempo, evitando di anticipare la gioia piena della Natività del Signore.

In tempo di Quaresima è permesso il suono dell’organo e di altri strumenti musicali soltanto per sostenere il canto. Fanno eccezione tuttavia la domenica Laetare (IV di Quaresima), le solennità e le feste.

Il posto per la custodia della Ss.ma Eucaristia

314. Tenuto conto della struttura di ciascuna chiesa e delle legittime consuetudini dei luoghi, il SS. Sacramento sia conservato nel tabernacolo collocato in una parte della chiesa assai dignitosa, insigne, ben visibile, ornata decorosamente e adatta alla preghiera[126].

Il tabernacolo sia unico, inamovibile, solido e inviolabile, non trasparente e chiuso in modo da evitare il più possibile il pericolo di profanazione[127]. È conveniente inoltre che venga benedetto prima di esser destinato all’uso liturgico, secondo il rito descritto nel Rituale Romano[128].

315. In ragione del segno, è più conveniente che il tabernacolo in cui si conserva la SS. Eucaristia non sia collocato sull’altare su cui si celebra la Messa[129].

Conviene quindi che il tabernacolo sia collocato, a giudizio del Vescovo diocesano:

a) o in presbiterio, non però sull’altare della celebrazione, nella forma e nel luogo più adatti, non escluso il vecchio altare che non si usa più per la celebrazione (Cf. n. 303);

b) o anche in qualche cappella adatta all’adorazione e alla preghiera privata dei fedeli[130], che però sia unita strutturalmente con la chiesa e ben visibile ai fedeli.

316. Secondo una consuetudine tramandata, presso il tabernacolo rimanga sempre accesa una lampada particolare, alimentata da olio o cera, con cui si indichi e si onori la presenza di Cristo[131].

317. Si osservino rigorosamente anche tutte le altre disposizioni previste dal diritto per la conservazione della SS. Eucaristia[132].

Le immagini sacre

318. Nella Liturgia terrena, la Chiesa partecipa, pregustandola, a quella celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, alla quale tende come pellegrina e nella quale Cristo siede alla destra di Dio, e, venerando la memoria dei Santi, spera di avere parte con essi[133].

Perciò, secondo un’antichissima tradizione della Chiesa, negli edifici sacri si espongano alla venerazione dei fedeli le immagini del Signore, della beata Vergine Maria e dei Santi[134];lì siano disposte in modo che conducano i fedeli verso i misteri della fede che vi si celebrano. Si presti attenzione che il loro numero non cresca in modo eccessivo, e che la loro disposizione non distolga l’attenzione dei fedeli dalla celebrazione[135]. Di un medesimo Santo poi non si abbia abitualmente che una sola immagine. In generale, nell’ornamento e nella disposizione della chiesa, per quanto riguarda le immagini, si cerchi di favorire la pietà di tutta la comunità oltre che la bellezza e la dignità delle immagini.

Capitolo VI - COSE NECESSARIE PER LA CELEBRAZIONE DELLA MESSA

I. Il pane e il vino per celebrare l’Eucaristia (319 - 324)

319. Fedele all’esempio di Cristo, la Chiesa ha sempre usato pane e vino con acqua per celebrare la Cena del Signore.

320. Il pane per la celebrazione dell’Eucaristia deve essere esclusivamente di frumento, confezionato di recente e azzimo, secondo l’antica tradizione della Chiesa latina.

321. La natura di segno esige che la materia della celebrazione eucaristica si presenti veramente come cibo. Conviene quindi che il pane eucaristico, sebbene azzimo e confezionato nella forma tradizionale, sia fatto in modo che il sacerdote nella Messa celebrata con il popolo possa spezzare davvero l’ostia in più parti e distribuirle almeno ad alcuni dei fedeli. Le ostie piccole non sono comunque affatto escluse, quando il numero dei comunicandi, o altre ragioni pastorali lo esigano. Il gesto della frazione del pane, con cui l’Eucaristia veniva semplicemente designata nel tempo apostolico, manifesterà sempre più la forza e l’importanza del segno dell’unità di tutti in un unico pane e del segno della carità, per il fatto che un unico pane è distribuito tra i fratelli.

322. Il vino per la celebrazione eucaristica deve essere tratto dal frutto della vite (Cf. Lc 22,18), naturale e genuino, cioè non misto a sostanze estranee.

323. Con la massima cura si conservino in perfetto stato il pane e il vino destinati all’Eucaristia; si badi cioè che il vino non diventi aceto e che il pane non si guasti o diventi troppo duro, così che solo con difficoltà si possa spezzare.

324. Se dopo la consacrazione, o al momento della Comunione, il sacerdote si accorge di aver usato acqua, anziché vino, metta l’acqua in un recipiente, versi nel calice vino con acqua e lo consacri, ripetendo la parte del racconto evangelico che riguarda la consacrazione del calice, senza dover nuovamente consacrare il pane.

II. Le suppellettili sacre in genere (325 - 326)

325. Come per la costruzione delle chiese, anche per ogni tipo di suppellettile sacra la Chiesa ammette il genere e lo stile artistico di ogni regione, e accetta quegli adattamenti che corrispondono alle culture e alle tradizioni dei singoli popoli, purché ogni cosa sia adatta all’uso per il quale è destinata[136].

Anche in questo settore si curi quella nobile semplicità che si accompagna tanto bene con l’arte autentica.

326. Nello scegliere la materia per la suppellettile sacra, oltre a quella tradizionalmente in uso, si possono adoperare anche quelle che, secondo la mentalità del nostro tempo, sono ritenute nobili, durevoli e che si adattano bene all’uso sacro. In questo settore, il giudizio spetta alla Conferenza Episcopale delle singole regioni (Cf. n. 390).

III. I vasi sacri (327 - 334)

327. Tra le cose richieste per la celebrazione della Messa, sono degni di particolare rispetto i vasi sacri; tra questi, specialmente il calice e la patena, nei quali vengono offerti, consacrati e consumati il pane e il vino.

328. I vasi sacri siano di metallo nobile. Se sono costruiti con metallo ossidabile o meno nobile dell’oro, vengano dorati almeno all’interno.

329. A giudizio della Conferenza Episcopale, con atti riconosciuti dalla Sede Apostolica, i vasi sacri possono essere fatti anche con altre materie solide e nobili, secondo la comune valutazione di ogni regione, per es. ebano o altri legni più duri, purché siano materie adatte all’uso sacro. In questo caso siano da preferire sempre materie che non si spezzino o si rovinino facilmente. Questo vale per tutti i vasi che sono destinati a custodire le ostie, come la patena, la pisside, la teca, l’ostensorio e altri vasi analoghi.

330. I calici e gli altri vasi destinati a contenere il Sangue del Signore, abbiano la coppa fatta di una materia che non assorba i liquidi. La base del calice può essere fatta con materie diverse, solide e decorose.

331. Per la consacrazione delle ostie, si può convenientemente usare un’unica patena più grande, nella quale si pone il pane sia per il sacerdote e il diacono, sia per gli altri ministri e i fedeli.

332. Per quanto riguarda la forma dei vasi sacri, è compito dell’artista confezionarli nel modo più conveniente, secondo gli usi delle singole regioni, purché siano adatti all’uso liturgico cui sono destinati, e si distinguano chiaramente da quelli destinati all’uso quotidiano.

333. Per la benedizione dei vasi sacri, si osservino i riti prescritti nei libri liturgici[137].

334. Si conservi la tradizione di costruire in sagrestia il sacrario per versarvi l’acqua per l’abluzione dei vasi sacri e della biancheria (Cf. n. 280).

IV. Le vesti sacre (335 - 347)

335. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, non tutte le membra svolgono lo stesso compito. Questa diversità di compiti nella celebrazione dell’Eucaristia, si manifesta esteriormente con la diversità delle vesti sacre, che perciò devono essere segno dell’ufficio proprio di ogni ministro. Conviene però che tali vesti contribuiscano anche al decoro dell’azione sacra. Le vesti che indossano i sacerdoti e i diaconi e gli altri ministri laici, prima di essere destinate all’uso liturgico, vengono opportunamente benedette secondo il rito descritto nel Rituale Romano[138].

336. La veste sacra comune a tutti i ministri ordinati e istituiti di qualsiasi grado è il camice stretto ai fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Prima di indossare il camice, se questo non copre l’abito comune attorno al collo, si usi l’amitto. Il camice non può essere sostituito dalla cotta, neppure sopra la veste talare, quando, secondo le norme, si indossano la casula o la dalmatica, oppure quando si deve indossare la stola, senza la casula o la dalmatica.

337. Nella Messa e nelle altre azioni sacre direttamente collegate con essa, veste propria del sacerdote celebrante è la casula o pianeta, se non viene indicato diversamente; la casula s’indossa sopra il camice e la stola.

338. Veste propria del diacono è la dalmatica, da indossarsi sopra il camice e la stola; tuttavia la dalmatica, o per necessità o per il grado minore di solennità, si può tralasciare.

339. Gli accoliti, i lettori e gli altri ministri laici possono indossare il camice o un’altra veste legittimamente approvata nella loro regione dalla Conferenza Episcopale (Cf. n. 390).

340. La stola indossata dal sacerdote gira attorno al collo e scende davanti, diritta. La stola indossata dal diacono poggia sulla spalla sinistra e, passando trasversalmente davanti al petto, si raccoglie sul fianco destro.

341. Il piviale viene indossato dal sacerdote nelle processioni e nelle altre azioni sacre, secondo le rubriche proprie dei singoli riti.

342. Riguardo alla forma delle vesti sacre, le Conferenze Episcopali possono stabilire e proporre alla Sede Apostolica adattamenti richiesti dalle necessità e dagli usi delle singole regioni[139].

343. Per la confezione delle vesti sacre, oltre alle stoffe tradizionali, si possono usare altre fibre naturali proprie delle singole regioni, come pure fibre artificiali, rispondenti alla dignità dell’azione sacra e della persona. In questa materia è giudice la Conferenza Episcopale[140].

344. La bellezza e la nobiltà delle vesti si devono cercare e porre in risalto più nella forma e nella materia usata, che nella ricchezza dell’ornato. Gli ornamenti possono presentare figurazioni, o immagini, o simboli, che indichino l’uso sacro delle vesti, con esclusione di ciò che non vi si addice.

345. La differenza dei colori nelle vesti sacre ha lo scopo di esprimere, anche con mezzi esterni, la caratteristica particolare dei misteri della fede che vengono celebrati, e il senso della vita cristiana in cammino lungo il corso dell’anno liturgico.

346. Riguardo al colore delle sacre vesti, si mantenga l’uso tradizionale, e cioè:

a) Il colore bianco si usa negli Uffici e nelle Messe del tempo pasquale e del tempo natalizio. Inoltre: nelle celebrazioni del Signore, escluse quelle della Passione; nelle feste e nelle memorie della beata Vergine Maria, dei Santi Angeli, dei Santi non Martiri, nelle solennità di Tutti i Santi (1 novembre) e di san Giovanni Battista (24 giugno), nelle feste di san Giovanni evangelista (27 dicembre), della Cattedra di san Pietro (22 febbraio) e della Conversione di san Paolo (25 gennaio).

b) Il colore rosso si usa nella domenica di Passione (o delle Palme) e nel Venerdì santo, nella domenica di Pentecoste, nelle celebrazioni della Passione del Signore, nella festa natalizia degli Apostoli e degli evangelisti e nelle celebrazioni dei Santi Martiri.

c) Il colore verde si usa negli Uffici e nelle Messe del tempo ordinario.

d) Il colore viola si usa nel tempo di Avvento e di Quaresima. Si può usare negli Uffici e nelle Messe per i defunti.

e) Il colore nero si può usare, dove è prassi consueta, nelle Messe per i defunti.

f) Il colore rosaceo si può usare, dove è tradizione, nelle domeniche Gaudete (III di Avvento) e Laetare (IV di Quaresima).

g) Nei giorni più solenni si possono usare vesti festive più preziose, anche se non sono del colore del giorno.

Per quanto riguarda i colori liturgici, le Conferenze Episcopali possono però stabilire e proporre alla Sede Apostolica adattamenti conformi alle necessità e alla cultura dei singoli popoli.

347. Le Messe rituali si celebrano con il colore ad esse proprio, oppure con colore bianco o festivo. Le Messe per varie necessità con il colore proprio del giorno o del tempo, oppure con colore viola se hanno carattere penitenziale (ad es. le Messe in tempo di guerra o di disordini; in tempo di fame; per la remissione dei peccati). Le Messe votive si celebrano con il colore adatto alla Messa che si celebra o anche con il colore proprio del giorno o del tempo.

V. Altre suppellettili destinate all’uso della chiesa (348 - 351)

348. Oltre ai vasi sacri e alle vesti liturgiche, per cui viene prescritta una determinata materia, anche l’altra suppellettile, destinata direttamente all’uso liturgico[141], o in qualunque altro modo ammessa nella chiesa, deve essere degna e rispondere al fine a cui ogni cosa è destinata.

349. Si curi in modo particolare che i libri liturgici, specialmente l’Evangeliario e il Lezionario, che sono destinati alla proclamazione della parola di Dio e quindi meritano una particolare venerazione, nell’azione liturgica siano davvero segni e simboli delle realtà soprannaturali, siano quindi degni, ornati e belli.

350. Inoltre si deve avere ogni cura per le cose che sono direttamente collegate con l’altare e la celebrazione eucaristica, come la croce dell’altare e quella processionale.

351. Si curi in modo particolare che anche nelle cose di minore importanza le esigenze dell’arte siano opportunamente rispettate e che una nobile semplicità sia sempre congiunta con la debita pulizia.

Capitolo VII - LA SCELTA DELLE PARTI DELLA MESSA

352. L’efficacia pastorale della celebrazione aumenta se i testi delle letture, delle orazioni e dei canti corrispondono il meglio possibile alle necessità, alla preparazione spirituale e alle capacità dei partecipanti. Questo si ottiene usando convenientemente quella molteplice facoltà di scelta che sarà descritta più avanti.

Nel preparare la Messa il sacerdote tenga presente più il bene spirituale del popolo di Dio che la propria personale inclinazione. Si ricordi anche che la scelta di queste parti si deve fare insieme con i ministri e con coloro che svolgono qualche ufficio nella celebrazione, senza escludere i fedeli in ciò che li riguarda direttamente.

Dal momento che è offerta un’ampia possibilità di scegliere le diverse parti della Messa, è necessario che prima della celebrazione il diacono, il lettore, il salmista, il cantore, il commentatore, la schola, ognuno per la sua parte, sappiano bene quali testi spettano a ciascuno, in modo che nulla si lasci all’improvvisazione. L’armonica disposizione ed esecuzione dei riti contribuisce moltissimo a disporre lo spirito dei fedeli per la partecipazione all’Eucaristia.

I. La scelta della Messa (353-355)

353. Nelle solennità il sacerdote è tenuto a seguire il calendario della chiesa in cui celebra.

354. Nelle domeniche, nelle ferie di Avvento, di Natale, di Quaresima e di Pasqua, nelle feste e nelle memorie obbligatorie:

a) se la Messa si celebra con il popolo, il sacerdote segua il calendario della chiesa in cui si celebra;

b) se la Messa si celebra con la partecipazione del solo ministro, il sacerdote può scegliere tra il calendario del luogo e il calendario proprio.

355. Nelle memorie facoltative:

a) Nelle ferie di Avvento dal 17 al 24 dicembre, tra l’ottava di Natale, e nelle ferie di Quaresima, fatta eccezione per il Mercoledì delle Ceneri e per le ferie della Settimana santa, si celebra la Messa del giorno liturgico corrente; però dalla memoria eventualmente segnata in quel giorno sul calendario generale si può prendere la colletta, purché non occorra il Mercoledì delle Ceneri o una feria della Settimana santa. Nelle ferie del tempo pasquale è possibile celebrare integralmente le memorie dei Santi.

b) Nelle ferie di Avvento prima del 17 dicembre, nelle ferie del tempo natalizio dal 2 gennaio e in quelle del tempo pasquale, si può scegliere o la Messa della feria, o la Messa del Santo o di uno dei Santi di cui si fa la memoria, o la Messa di un Santo ricordato quel giorno nel Martirologio.

c) Nelle ferie del tempo ordinario, si può scegliere o la Messa della feria o la Messa di un’eventuale memoria facoltativa, o la Messa di qualche Santo ricordato in quel giorno nel Martirologio, o una Messa per le varie necessità o una Messa votiva.

Se celebra con partecipazione di popolo, il sacerdote si preoccuperà di non omettere troppo spesso e senza motivo sufficiente le letture assegnate per i singoli giorni dal Lezionario feriale: la Chiesa desidera infatti che venga offerta ai fedeli una mensa sempre più abbondante della parola di Dio[142].

Per lo stesso motivo, non ricorra troppo spesso alle Messe dei defunti: tutte le Messe sono offerte per i vivi e per i defunti, e dei defunti si fa memoria in ogni Preghiera eucaristica.

Là dove le memorie facoltative della beata Vergine Maria, o di un Santo, sono care alla pietà dei fedeli, si soddisfi la loro legittima devozione.

Quando poi c’è possibilità di scelta tra una memoria iscritta nel calendario generale e una memoria del calendario diocesano o religioso, si dia la precedenza, a parità di importanza e secondo la tradizione, alla memoria del calendario particolare.

II. La scelta delle parti della Messa (356-367)

356. Nello scegliere i testi delle diverse parti della Messa, sia del tempo che dei Santi, si osservino le norme seguenti.

Le letture

357. Alla domenica e nelle solennità vi sono tre letture: il Profeta, l’Apostolo e il Vangelo; la loro proclamazione educa il popolo cristiano al senso della continuità nell’opera di salvezza, secondo la mirabile pedagogia divina. Queste letture siano scrupolosamente utilizzate. Nel tempo pasquale, secondo la tradizione della Chiesa, al posto dell’Antico Testamento, la lettura viene tratta dagli Atti degli Apostoli.

Per le feste invece sono assegnate due letture. Se tuttavia la festa, secondo le norme, viene elevata al grado di solennità, si aggiunge la terza lettura, che si prende dal Comune.

Nelle memorie dei Santi, se non vi sono letture proprie, si proclamano normalmente le letture assegnate alla feria. In alcuni casi si propongono letture appropriate, che pongono in luce un particolare aspetto della vita spirituale o dell’azione del Santo. Non si deve però esagerare con l’uso di queste letture, se non lo suggerisce una autentica ragione pastorale.

358. Nel Lezionario feriale sono proposte delle letture per ogni giorno della settimana, lungo tutto il corso dell’anno: pertanto proprio queste letture si dovranno abitualmente usare nei giorni a cui sono assegnate, a meno che non ricorra una solennità o una festa, o una memoria che abbia letture proprie dal Nuovo Testamento, nelle quali si faccia la menzione del Santo celebrato.

Quando la lettura continua venisse interrotta durante la settimana da una qualche solennità, o una festa o da qualche celebrazione speciale, il sacerdote, tenendo presente l’ordine delle letture di tutta la settimana, può aggiungere alle altre letture quella omessa o decidere quale testo sia da preferire.

Nelle Messe per gruppi particolari, il sacerdote potrà scegliere le letture più adatte a quella particolare celebrazione, purché tratte dai testi del Lezionario approvato.

359. Una scelta speciale di testi della sacra Scrittura è fatta nel Lezionario per le Messe rituali, nelle quali è inserita la celebrazione di sacramenti o di sacramentali, o per le Messe che vengono celebrate per diverse necessità.

Questi Lezionari sono stati composti in modo che i fedeli, attraverso l’ascolto di una lettura più adatta, comprendano meglio il mistero a cui prendono parte e aumentino il loro amore per la parola di Dio.

Quindi i testi da leggersi nella celebrazione si devono scegliere in base a un’opportuna considerazione pastorale, e tenuta presente la libertà di scelta prevista per questi casi.

360. Si dà a volte una forma più lunga e una forma più breve dello stesso testo. Nella scelta fra le due stesure si tenga presente il criterio pastorale. Bisogna essere cioè attenti alla capacità dei fedeli di ascoltare con frutto una lettura più lunga o più breve e alla loro capacità di ascoltare il testo più completo, da spiegare poi con l’omelia[143].

361. Quando è data la possibilità di scelta tra due testi già stabiliti o proposti come facoltativi, si dovrà tenere presente l’utilità dei partecipanti: si sceglierà quindi il testo più facile o più adatto ai fedeli riuniti, oppure si ripeterà o si tralascerà un testo indicato come proprio per una data celebrazione e facoltativo per l’altra, tenendo conto dell’utilità pastorale[144].

Ciò può avvenire o quando il medesimo testo si dovesse rileggere a distanza ravvicinata, per esempio di domenica e il lunedì seguente, o quando si ha il fondato timore che il testo presenti difficoltà in qualche gruppo di fedeli. Si eviti tuttavia che, nella scelta dei testi della sacra Scrittura, alcune parti siano costantemente escluse.

362. Oltre alle possibilità di cui si è parlato nei numeri precedenti per la scelta dei testi più adatti, le Conferenze Episcopali hanno la facoltà di indicare, per particolari circostanze, alcuni adattamenti per le letture, a condizione che i testi vengano scelti da un Lezionario debitamente approvato.

Le orazioni

363. In ogni Messa, salvo indicazioni in contrario, si dicono le orazioni proprie di quella Messa.

Nelle memorie dei Santi si dice la colletta propria o, se questa manca, quella del Comune adatto; le orazioni sulle offerte e dopo la Comunione, se non sono proprie, si possono scegliere dal comune o dalle ferie del tempo corrente.

Nelle ferie del tempo ordinario, oltre all’orazione della domenica precedente, si possono dire le orazioni di un’altra domenica del tempo ordinario, oppure un’orazione scelta tra i formulari per «varie necessità» che si trovano nel Messale. Di queste Messe si può sempre comunque scegliere anche la sola colletta.

In tal modo viene proposta una maggior ricchezza di testi, con i quali viene nutrita più abbondantemente la preghiera dei fedeli.

Nei tempi più importanti dell’anno, questo adattamento già avviene mediante l’orazione propria del tempo, che si trova per ogni giorno nel Messale.

La Preghiera eucaristica

364. I numerosi prefazi, di cui è arricchito il Messale Romano, mirano a mettere più pienamente in evidenza i motivi dell’azione di grazie nella Preghiera eucaristica e a porre maggiormente in luce i vari aspetti del mistero della salvezza.

365. La scelta tra le Preghiere eucaristiche, che si trovano nel rito della Messa, è regolata dalle norme seguenti:

a) La Preghiera eucaristica I o Canone Romano, si può sempre usare; il suo uso tuttavia è più indicato nei giorni ai quali è assegnato un In comunione proprio, o nelle Messe con l’Accetta con benevolenza proprio, oltre che nelle celebrazioni degli Apostoli e dei Santi di cui si fa menzione nella Preghiera stessa; così pure nelle domeniche, a meno che, per ragioni pastorali, non si preferisca la Preghiera eucaristica III.

b) La Preghiera eucaristica II, per le sue particolari caratteristiche, è più indicata per i giorni feriali o in circostanze particolari. Quantunque abbia un prefazio proprio, può essere collegata con altri prefazi, specialmente con quelli che presentano in sintesi il mistero della salvezza, come ad esempio i prefazi comuni. Quando si celebra la Messa per un defunto, si può inserire la formula particolare proposta a suo luogo, cioè prima del Ricordati dei nostri fratelli.

c) La Preghiera eucaristica III si può dire con qualsiasi prefazio. È preferibile usarla nelle domeniche e nei giorni festivi. Se questa Preghiera viene usata nelle Messe per i defunti, si può usare la formula particolare per un defunto, inserendola a suo luogo, cioè dopo le parole Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.

d) La Preghiera eucaristica IV ha un prefazio invariabile e offre un compendio più completo della storia della salvezza. Si può usare quando la Messa manca di un prefazio proprio e nelle domeniche del tempo ordinario. In questa Preghiera, in ragione della sua struttura, non si può inserire una particolare formula per un defunto.

I canti

366. Ai canti stabiliti nell’ordinario della Messa, come ad esempio l’Agnello di Dio, non si possono sostituire altri canti.

367. Nello scegliere i canti fra le letture, e i canti di ingresso, di offertorio e di Comunione, si osservino le norme stabilite a suo luogo (Cf. nn. 40-41, 47-48, 61-64, 74, 86-88).

Capitolo VIII - MESSE E ORAZIONI PER DIVERSE CIRCOSTANZE E MESSE PER I DEFUNTI

I. Messe e orazioni per diverse circostanze (368 - 378)

368. Poiché la Liturgia dei Sacramenti e dei Sacramentali offre ai fedeli ben disposti la possibilità di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia che fluisce dal mistero pasquale[145], e poiché l’Eucaristia è il sacramento per eccellenza, il Messale presenta formulari di Messe e orazioni che si possono usare nelle diverse circostanze della vita cristiana, per le necessità di tutto il mondo o della Chiesa universale e locale.

369. Essendovi una maggiore facoltà di scegliere le letture e le orazioni, è bene che delle Messe per diverse circostanze si faccia un uso moderato, cioè quando lo esige l’opportunità pastorale.

370. In tutte le Messe per diverse circostanze, salvo espresse indicazioni in contrario, si possono usare le letture feriali con i loro canti responsoriali, se si accordano con la celebrazione.

371. Fra queste Messe vengono annoverate le Messe rituali, le Messe per le varie necessità, quelle per diverse circostanze e le votive.

372. Le Messe rituali sono collegate con la celebrazione di alcuni Sacramenti o Sacramentali. Sono proibite nelle domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, nelle solennità, nei giorni fra l’ottava di Pasqua, nella Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nel Mercoledì delle Ceneri e nelle ferie della Settimana santa; si devono inoltre osservare le norme indicate nei libri rituali o nei formulari delle Messe stesse.

373. Le Messe per varie necessità o per diverse circostanze si utilizzano in alcuni particolari momenti, in tempi stabiliti o anche di tanto in tanto. Tra queste, la competente autorità può scegliere Messe per eventuali suppliche pubbliche, stabilite dalla Conferenza Episcopale nel corso dell’anno.

374. Nel caso di una necessità particolarmente grave o di una utilità pastorale, si può celebrare una Messa adatta, per ordine o con il consenso del Vescovo diocesano, in qualsiasi giorno, eccetto le solennità e le domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, i giorni fra l’ottava di Pasqua, la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, il Mercoledì delle Ceneri e le ferie della Settimana santa.

375. Le Messe votive dei misteri del Signore o in onore della beata Vergine Maria o degliAngeli o di qualche Santo o di tutti i Santi, si possono celebrare per la pietà dei fedeli nelle ferie del tempo ordinario, anche se ricorre una memoria facoltativa. Tuttavia non si possono celebrare come votive le Messe che si riferiscono ai misteri della vita del Signore o della beata Vergine Maria, eccetto la Messa della sua Immacolata Concezione, perché la loro celebrazione è in armonia con il corso dell’anno liturgico.

376. Nei giorni in cui ricorre una memoria obbligatoria o una feria di Avvento fino al 16 dicembre, del tempo natalizio a cominciare dal 2 gennaio, e del tempo pasquale dopo l’ottava di Pasqua, sono per sé proibite le Messe per varie necessità e quelle votive. Se però lo richiede un’autentica necessità o un’utilità pastorale, nella Messa con partecipazione di popolo si può usare il formulario corrispondente a questa necessità o utilità, a giudizio del rettore della chiesa o dello stesso sacerdote celebrante.

377. Nelle ferie del tempo ordinario nelle quali ricorrono memorie facoltative o si fa l’ufficio della feria, si può celebrare qualunque Messa o utilizzare qualunque orazione per diverse circostanze, fatta eccezione per le Messe rituali.

378. Si raccomanda particolarmente la memoria di santa Maria in sabato, perché nella Liturgia della Chiesa viene venerata in modo speciale e prima di tutti i Santi la Madre del Redentore[146].

II. Messe per i defunti (379-385)

379. La Chiesa offre il sacrificio eucaristico della Pasqua di Cristo per i defunti, in modo che, per la comunione esistente fra tutte le membra di Cristo, gli uni ricevano un aiuto spirituale e gli altri il conforto della speranza.

380. Tra le Messe per i defunti ha il primo posto la Messa esequiale, che si può celebrare tutti i giorni, eccetto le solennità di precetto, il Giovedì della Settimana santa, il Triduo pasquale e le domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, osservando inoltre tutto quello che prescrive il diritto[147].

381. La Messa dei defunti alla notizia della morte di una persona, o nel giorno della sepoltura definitiva, o nel primo anniversario, si può celebrare anche fra l’ottava di Natale, nei giorni nei quali occorre una memoria obbligatoria o una feria, che non sia il Mercoledì delle Ceneri o una feria della Settimana santa.

Le altre Messe per i defunti, o Messe «quotidiane», si possono celebrare nelle ferie del tempo ordinario, nelle quali occorrono memorie facoltative o si fa l’Ufficio della feria, purché siano veramente applicate per i defunti.

382. Nella Messa esequiale si tenga normalmente una breve omelia, escludendo però la forma dell’elogio funebre.

383. Si invitino i fedeli, specialmente i familiari del defunto, a partecipare anche con la santa Comunione al sacrificio eucaristico offerto per il defunto stesso.

384. Se la Messa e il rito delle esequie vengono celebrati insieme, recitata l’orazione dopo la Comunione, si tralasciano i riti di conclusione e si compie l’ultima raccomandazione o commiato. Questo rito si fa soltanto quando il cadavere è presente.

385. Nell’ordinare e scegliere le parti variabili della Messa per i defunti (come le orazioni, le letture, la preghiera universale), specialmente nella Messa esequiale, si tengano presenti, come è giusto, gli aspetti pastorali che interessano il defunto, la sua famiglia e i presenti.

Inoltre i pastori d’anime abbiano un riguardo speciale per coloro che in occasione del funerale assistono alla celebrazione liturgica o ascoltano la proclamazione del Vangelo, siano essi acattolici o cattolici che non partecipano mai o quasi mai all’Eucaristia, o che sembrano aver perduto la fede; i sacerdoti sono per tutti i ministri del Vangelo di Cristo.

Capitolo IX - GLI ADATTAMENTI CHE COMPETONO AI VESCOVI DIOCESANI E ALLE CONFERENZE EPISCOPALI (386-399)

386. Ai nostri tempi, nel riformare il Messale Romano secondo i decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II, ci si è sempre preoccupati che tutti i fedeli, nella celebrazione eucaristica, possano esercitare quella piena, cosciente e attiva partecipazione, che è richiesta dalla natura della stessa Liturgia e alla quale gli stessi fedeli, in forza della loro condizione, hanno diritto e dovere[148].

Perché la celebrazione risponda più pienamente alle norme e allo spirito della sacra Liturgia, in questo Ordinamento generale e nel rito della Messa vengono proposti alcuni ulteriori adattamenti, che sono affidati al giudizio o del Vescovo diocesano o delle Conferenze Episcopali.

387. Il Vescovo diocesano, che è da considerare come il grande sacerdote del suo gregge, dal quale in qualche misura deriva e dipende la vita dei suoi fedeli in Cristo[149], deve promuovere, guidare e vigilare sulla vita liturgica nella sua diocesi. A lui, in questo Ordinamento generale è affidato il compito di regolare la disciplina della concelebrazione (Cf. n. 202, 374), stabilire le norme circa il compito di servire il sacerdote all’altare (Cf. n. 107), circa la distribuzione della sacra Comunione sotto le due specie (Cf. n. 283), circa la costruzione e la ristrutturazione delle chiese (Cf. n. 291). Ma a lui spetta prima di tutto coltivare nei presbiteri, nei diaconi e nei fedeli lo spirito della sacra Liturgia.

388. Gli adattamenti sotto descritti, che esigono maggiore coordinamento, sono da stabilirsi, secondo il diritto, dalla Conferenza Episcopale.

389. Alle Conferenze Episcopali spetta anzitutto preparare e approvare l’edizione di questo Messale Romano nelle lingue moderne approvate, affinché, dopo la conferma della Sede Apostolica, si usi poi nelle rispettive regioni[150].

Il Messale Romano, sia nel testo latino che nelle traduzioni nazionali legittimamente approvate, si deve pubblicare integralmente.

390. È proprio delle Conferenze Episcopali, dopo la conferma della Sede Apostolica, definire e introdurre nel Messale gli adattamenti che sono indicati in questo Ordinamento generale nel rito della Messa, come:

- i gesti dei fedeli e gli atteggiamenti del corpo (Cf. sopra, n. 43);

- i gesti di venerazione verso l’altare e l’Evangeliario (Cf. sopra, n.273);

- i testi dei canti all’ingresso, all’offertorio e alla Comunione (Cf. sopra, nn. 48, 74, 87);

- le letture della sacra Scrittura da usare in particolari circostanze (Cf. sopra, n. 362);

- la modalità dello scambio di pace (Cf. sopra, n. 82);

- il modo di ricevere la sacra Comunione (Cf. sopra, nn. 160, 283);

- la materia dell’altare e della sacra suppellettile, specialmente dei vasi sacri, e anche la materia, la forma e il colore delle vesti liturgiche (Cf. sopra, nn. 301, 326, 329, 339, 342-346).

I Direttori o le Istruzioni pastorali, che le Conferenze Episcopali riterranno utili, previo il riconoscimento della Sede Apostolica, potranno essere introdotte nel Messale Romano in luogo opportuno.

391. Alle stesse Conferenze Episcopali spetta di dedicare una cura particolare alla traduzione dei testi biblici che si usano nella celebrazione della Messa. Dalla sacra Scrittura infatti sono desunte le pericopi che si leggono e che si spiegano nell’omelia e i salmi che si cantano; inoltre dalla sua ispirazione e dal suo contenuto sono nate le preghiere, le orazioni e i canti liturgici, come pure da essa prendono significato le azioni e i segni[151].

Si usi il linguaggio che risponda alla capacità dei fedeli e che sia adatto ad una proclamazione pubblica, osservando tuttavia ciò che è proprio dei diversi modi di parlare nei libri biblici.

392. Spetta inoltre alle Conferenze Episcopali preparare con grande diligenza la traduzione degli altri testi, cosicché, nel rispetto anche del carattere proprio di ciascuna lingua, venga reso pienamente e fedelmente il senso del testo originale latino. Nel compiere questo lavoro, conviene prestare attenzione ai diversi generi di espressioni che si usano nella Messa, quali le orazioni presidenziali, le antifone, le acclamazioni, i responsori, le invocazioni litaniche, ecc.

Si tenga presente che la traduzione dei testi non ha come primo scopo la meditazione, ma piuttosto la proclamazione o il canto nell’atto della celebrazione.

Si usi un linguaggio adatto ai fedeli della regione; tuttavia sia dignitoso e dotato di qualità letteraria, ferma restando la necessità di una catechesi sul senso biblico e cristiano di alcune parole ed espressioni.

È opportuno che, nelle regioni che hanno la stessa lingua, per quanto possibile, si abbia la stessa traduzione dei testi liturgici, soprattutto dei testi biblici e del rito della Messa[152].

393. Considerando il posto eminente che il canto ha nella celebrazione, come parte necessaria e integrale della Liturgia[153], è compito delle Conferenze Episcopali approvare melodie adatte, specialmente per i testi dell’Ordinario della Messa, per le risposte e le acclamazioni del popolo e per riti particolari che ricorrono durante l’anno liturgico.

È loro competenza, inoltre, giudicare quali forme musicali, quali melodie e quali strumenti musicali sia lecito ammettere nel culto divino, perché siano veramente adatti all’uso sacro o possano adattarvisi.

394. È necessario che ogni diocesi abbia il suo Calendario e il Proprio delle Messe. La Conferenza Episcopale poi prepari il calendario proprio della nazione o, con le altre Conferenze, un Calendario per una più vasta regione, da approvarsi dalla Sede Apostolica[154].

Nel fare questo lavoro, si deve rispettare e difendere la domenica, come festa primordiale, quindi ad essa non siano anteposte altre celebrazioni, se non sono davvero di grandissima importanza[155]. Inoltre si presti attenzione che l’anno liturgico, rinnovato per volere del Concilio Vaticano II, non sia oscurato da elementi secondari.

Nel preparare il calendario della nazione, si stabiliscano i giorni delle Rogazioni e delle Quattro Tempora, facendo particolare attenzione alle forme e ai testi per la loro celebrazione[156] e ad altre particolari disposizioni.

Conviene che, nella edizione del Messale, le celebrazioni proprie di tutta la nazione o territorio siano inserite a suo luogo nel calendario generale, quelle invece proprie di una particolare regione o diocesi siano poste in appendice.

395. Infine, se la partecipazione dei fedeli e il loro bene spirituale esigono variazioni e adattamenti più profondi, perché la sacra celebrazione risponda allo spirito e alle tradizioni delle diverse popolazioni, le Conferenze Episcopali potranno proporle alla Sede Apostolica a norma dell’art. 40 della Costituzione sulla Sacra Liturgia, per introdurle, col suo consenso, a favore specialmente di quelle popolazioni a cui è stato annunziato il Vangelo più recentemente[157]. Si osservino attentamente le norme particolari che sono state stabilite nella Istruzione «La liturgia romana e l’inculturazione»[158].

Nel modo di procedere in questo lavoro si osservi quanto segue.

Anzitutto si faccia una previa esposizione particolareggiata alla Sede Apostolica, affinché, dopo aver ottenuta la debita facoltà, si proceda ad elaborare i singoli adattamenti.

Dopo l’approvazione delle proposte da parte della Santa Sede, si facciano esperimenti per i tempi e nei luoghi stabiliti. Se è il caso, terminato il tempo dell’esperimento, la Conferenza Episcopale stabilirà la prosecuzione degli adattamenti e sottoporrà al giudizio della Sede Apostolica la loro ultima formulazione[159].

396. Tuttavia, prima di arrivare a nuovi adattamenti, specialmente se molto profondi, ci si dovrà dedicare con cura a promuovere saggiamente e ordinatamente una debita istruzione del clero e dei fedeli, a condurre ad effetto le facoltà già previste e ad applicare pienamente le norme pastorali rispondenti allo spirito della celebrazione.

397. Si osservi anche il principio per cui ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede[160].

Il Rito romano costituisce una parte notevole e preziosa del tesoro e del patrimonio liturgico della Chiesa Cattolica; le sue ricchezze giovano al bene di tutta la Chiesa, tanto che la loro perdita le nuocerebbe gravemente.

Questo Rito nel corso dei secoli non solo ha conservato gli usi liturgici che hanno avuto origine nella città di Roma, ma in modo profondo, organico e armonico ha integrato in sé alcuni altri usi che derivavano dalle consuetudini e dalla cultura dei diversi popoli e delle diverse Chiese particolari dell’Occidente e dell’Oriente, acquisendo in tal modo un carattere che supera i limiti di una sola regione. Nel nostro tempo l’identità e l’espressione unitaria di questo Rito si trova nelle edizioni tipiche dei libri liturgici, promulgati dall’autorità del Sommo Pontefice e nei libri liturgici ad essi corrispondenti, confermati dalle Conferenze Episcopali per i loro territori e riconosciuti dalla Sede Apostolica[161].

398. La norma stabilita dal Concilio Vaticano II[162], che cioè le innovazioni nel rinnovamento liturgico non avvengano se non lo esige una vera e certa utilità della Chiesa, e usando quella cautela per cui le forme nuove in qualche modo scaturiscano organicamente dalle forme che già esistono, deve essere applicata per operare l’inculturazione anche dello stesso Rito romano[163]. L’inculturazione inoltre esige un congruo periodo di tempo, perché nella fretta e nella disattenzione non venga poi compromessa l’autentica tradizione liturgica.

La ricerca dell’inculturazione infine non tende affatto alla creazione di nuove famiglie rituali, ma a provvedere alle esigenze di una data cultura, in modo però che gli adattamenti introdotti sia nel Messale sia negli altri libri liturgici non rechino pregiudizio all’indole propria del Rito romano[164].

399. Perciò il Messale Romano, anche nella diversità delle lingue e in una certa varietà di consuetudini[165], si deve conservare per il futuro come strumento e segno eccellente di integrità e di unità del Rito romano[166].

© Conferenza Episcopale Italiana, 2007

Note

  1. Sito Ufficiale della Santa Sede, link: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccdds/documents/rc_con_ccdds_doc_20030317_ordinamento-messale_it.html
  2. Conc. Ecum. Tridentino, Sess. XXII, 17 settembre 1562, Denz-Schönm. 1738-1759.
  3. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 47; Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, nn. 3, 28; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, nn. 2, 4, 5.
  4. Messa vespertina «Nella Cena del Signore», orazione sulle offerte. Cf. Sacramentarium Veronense, ed. L. C. Mohlberg, n. 93.
  5. Cf. Preghiera eucaristica III.
  6. Cf. Preghiera eucaristica IV.
  7. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 7, 47; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, nn. 5, 18.
  8. Cf. Pio XII, Lett. enc. Humani generis, 12 agosto 1950: AAS 42 (1950) 570-571; Paolo VI, Lett. enc. Mysterium fidei, 3 settembre 1965: AAS 57 (1965) 762-769; Solenne professione di fede, 3 giugno 1968, nn. 24-26: AAS 60 (1968) 442-443; Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, nn. 3f, 9: AAS 59 (1967) 543, 547.
  9. Conc. Ecum. Tridentino, Sess. XIII, 11 ottobre 1551, Denz-Schönm. 1635-1661.
  10. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 2.
  11. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 11.
  12. Ibidem, n. 50.
  13. Conc. Ecum. Tridentino, Sess. XXII, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. 8, Denz-Schönm. 1749.
  14. Ibidem, can. 9, Denz-Schönm. 1759.
  15. Ibidem, cap. 8, Denz-Schönm. 1749.
  16. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 33.
  17. Ibidem, n. 36.
  18. Ibidem, n. 52.
  19. Ibidem, n. 35, § 3.
  20. Ibidem, n. 55.
  21. Conc. Ecum. Tridentino, Sess. XXII, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. 6, Denz-Schönm. 1747.
  22. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 55.
  23. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 41; Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, n. 11; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, nn. 2, 5, 6; Decreto sull’ufficio pastorale di Vescovi, Christus Dominus, n. 30; Decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio, n. 15; Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, nn. 3e, 6: AAS 59 (1967) 542, 544-545.
  24. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 10.
  25. Cf. Ibidem, n. 102.
  26. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 10; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 5.
  27. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 14, 19, 26, 28, 30.
  28. Cf. Ibidem, n. 47.
  29. Cf. Ibidem, n. 14.
  30. Cf. Ibidem, n. 41.
  31. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 13; C.I.C., can. 904.
  32. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 59.
  33. Per la celebrazione della Messa in situazioni particolari si osservi quanto stabilito: per le Messe nei gruppi particolari cf. Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione Actio pastoralis, 15 maggio 1969: AAS 61 (1969) 806-811; per le Messe con i fanciulli cf. Direttorio delle Messe con i fanciulli, 1 novembre 1973: AAS 66 (1974) 30-46; sul modo di unire le Ore dell’Ufficio con la Messa cf. Principi e norme per la Liturgia delle Ore, nn. 93-98; sul modo di unire alcune benedizioni e l’incoronazione dell’immagine della beata Vergine Maria con la Messa cf. Rituale Romano, Benedizionale, Premesse generali, n. 28; Rituale Romano, Rito per l’incoronazione dell’immagine della beata Vergine Maria, nn. 10, 14.
  34. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sull’ufficio pastorale di Vescovi, Christus Dominus, n. 14; Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 41.
  35. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 22.
  36. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 38; Paolo VI, Cost. Ap. Missale Romanum, 3 aprile 1969.
  37. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994: AAS 87 (1995) 288-314.
  38. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 5; Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 33.
  39. Conc. Ecum. Tridentino, Sess. XXII, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. 1, Denz-Schönm. 1740; cf. Paolo VI, Solenne professione di fede, 3 giugno 1968, n. 24: AAS 60 (1968) 442.
  40. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 7; Paolo VI, Lett. enc. Mysterium fidei, 3 settembre 1965: AAS 57 (1965) 764; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 9: AAS 59 (1967) 547.
  41. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 56; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 3: AAS 59 (1967) 542.
  42. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 48, 51; Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione, Dei Verbum, n. 21; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 4.
  43. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 7, 33, 52.
  44. Cf. ibidem, 33.
  45. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 14: AAS 59 (1967) 304.
  46. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 26-27; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 3: AAS 59 (1967) 542.
  47. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 30.
  48. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 16 a: AAS 59 (1967) 305.
  49. S. Agostino di Ippona, Sermo 336, 1: PL 38, 1472.
  50. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, nn. 7, 16: AAS 59 (1967) 302, 305.
  51. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 116; cf. anche il n. 30.
  52. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 54; Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 59: AAS 56 (1964) 891; Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 47: AAS 59 (1967) 314.
  53. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 30, 34; cf. anche il n. 21.
  54. Cf. ibidem, n. 40; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, n. 41: AAS 87 (1995) 304.
  55. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 30; Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 17: AAS 59 (1967) 305.
  56. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Dies Domini, 31 maggio 1998, n. 50: AAS 90 (1998) 745.
  57. Cf. sotto, Appendice II.
  58. Cf. Tertulliano, Adversus Marcionem, IV, 9: CCSL 1, 560; Origene, Disputatio cum Heracleida, n. 4, 24: SCh 67, 62; Statuta Concilii Hipponensi Breviata, 21: CCSL 149, 39.
  59. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 33.
  60. Cf. ibidem, n. 7.
  61. Messale Romano, Lezionario, seconda edizione tipica, Introduzione, n. 28.
  62. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 51.
  63. Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, n. 13: AAS 81 (1988) 910.
  64. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 52; C.I.C., can. 767, § 1.
  65. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 54: AAS 56 (1964) 890.
  66. Cf. C.I.C., can 767, § 1; Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica del C.I.C., risposta al dubbio circa il can. 767, § 1: AAS 79 (1987) 1249; Istruzione interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti, Ecclesiae de mysterio, 15 agosto 1997, art. 3: AAS 89 (1997) 864.
  67. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 53: AAS 56 (1964) 890.
  68. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 53.
  69. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 56: AAS 56 (1964) 890.
  70. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 47; Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, nn. 3a, b: AAS 59 (1967) 540-541.
  71. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 91: AAS 56 (1964) 898; Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: AAS 59 (1967) 554.
  72. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 48; Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: AAS 59 (1967) 548-549.
  73. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium n. 48; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 5; Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: AAS 59 (1967) 548-549.
  74. Cf. Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, nn. 31, 32: AAS 59 (1967) 558-559; Sacra Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Immensae caritatis, 29 gennaio 1973, n. 2: AAS 65 (1973) 267-268.
  75. Cf. Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino, Istruzione Inestimabile donum, 3 aprile 1980, n. 17: AAS 72 (1980) 338.
  76. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 26.
  77. Cf. ibidem, n. 14.
  78. Cf. ibidem, n. 28.
  79. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, nn. 26, 28; Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 42.
  80. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 26.
  81. Cf. Caeremoniale Episcoporum, nn. 175-186.
  82. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 28; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 2.
  83. Paolo VI, Lett. Ap. Sacrum Diaconatus Ordinem, 18 giugno 1967: AAS 59 (1967) 697-704; Pontificale Romano, Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, seconda edizione, 1992 n. 191.
  84. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 48; Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: AAS 59 (1967) 548-549.
  85. Cf. C.I.C., can 910, § 2; Istruzione interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti, Ecclesiae de mysterio, 15 agosto 1997, art. 8: AAS 89 (1997) 871.
  86. Cf. Sacra Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Immensae caritatis, 29 gennaio 1973, n. 1: AAS 65 (1973) 265-266; C.I.C, can. 230, § 3.
  87. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 24.
  88. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 19: AAS 59 (1967) 306.
  89. Cf. ibidem, n. 21: AAS 59 (1967) 306-307.
  90. Cf. Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi., risposta al dubbio circa il can. 230, § 2: AAS 86 (1994) 541.
  91. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 22.
  92. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 41.
  93. Cf. Caeremoniale Episcoporum, nn. 119-186.
  94. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 42; Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 28; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis n. 5; Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 26: AAS 59 (1967) 555.
  95. Cf. Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 47: AAS 59 (1967) 565.
  96. Cf. ibidem, n. 26: AAS 59 (1967) 555; Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, nn. 16, 27: AAS 59 (1967) 305, 308.
  97. Cf. Istruzione interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti, Ecclesiae de mysterio, 15 agosto 1997, art. 6: AAS 89 (1997) 869.
  98. Cf. Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino, Istruzione Inestimabile donum, 3 aprile 1980, n. 10: AAS 72 (1980) 336; Istruzione interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti, Ecclesiae de mysterio, 15 agosto 1997, art. 8: AAS 89 (1997) 871.
  99. Cf. sotto, Appendice III, Rito per incaricare volta per volta un fedele per la distribuzione dell’Eucaristia.
  100. Cf. Caeremoniale Episcoporum, nn. 1118-1121.
  101. Cf. Paolo VI, Lett. Ap. Ministeria quaedam, 15 agosto 1972: AAS 64 (1972) 532.
  102. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 57; C.I.C., can. 902.
  103. Cf. Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 47: AAS 59 (1967) 566.
  104. Cf. ibidem, 565.
  105. Cf. Benedetto XV, Cost. Ap. Incruentum altaris sacrificium, 10 agosto 1915: AAS 7 (1915) 401-404.
  106. Cf. Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 32: AAS 59 (1967) 558.
  107. Cf. Conc. Ecum. Tridentino, Sess. XXI, 16 luglio 1562, Decreto sulla Comunione eucaristica, capp. 1-3, Denz-Schönm. 1725-1729.
  108. Cf. ibidem, cap. 2, Denz-Schönm. 1728.
  109. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 122-124; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 5; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 90: AAS 56 (1964) 897; Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: AAS 59 (1967) 554; C.I.C., can. 932, § 1.
  110. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 123.
  111. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: AAS 59 (1967) 554.
  112. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 123, 129; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 13 c: AAS 56 (1964) 880.
  113. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 123.
  114. Cf. ibidem, n. 126; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 91: AAS 56 (1964) 898.
  115. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, nn. 97-98: AAS 56 (1964) 899.
  116. Cf. ibidem, n. 91: AAS 56 (1964) 898.
  117. Cf. ibidem.
  118. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 96: AAS 56 (1964) 899.
  119. Cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione di un nuovo ambone, nn. 1238-1266.
  120. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 92: AAS 56 (1964) 898.
  121. Cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione di una cattedra o sede presidenziale, nn. 1214-1237.
  122. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 92: AAS 56 (1964) 898.
  123. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 32.
  124. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 23: AAS 59 (1967) 307.
  125. Cf. Rituale Romano, Benedizionale, edizione italiana 1992, Benedizione di un organo, nn. 1478-1494.
  126. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 54: AAS 59 (1967) 568; Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 95: AAS 56 (1964) 898.
  127. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 52: AAS 59 (1967) 568; Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 95: AAS 56 (1964) 898; Sacra Congregazione per i Sacramenti, Istruzione Nullo umquam tempore, 28 maggio 1938, n. 4: AAS 30 (1938) 199-200; cf. Rituale Romano, Rito della Comunione fuori della Messa e Culto eucaristico, 1979, nn. 10-11; C.I.C., can. 938, § 3.
  128. Cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione di un tabernacolo eucaristico, nn. 1312-1330.
  129. Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 55: AAS 59 (1967) 569.
  130. Cf. ibidem, n. 53: AAS 59 (1967) 568; Rituale Romano, Rito della Comunione fuori della Messa e Culto eucaristico, 1979, n. 9; C.I.C., can. can. 938, § 2; Giovanni Paolo II, Lett. Dominicae Cenae, 24 febbraio 1980, n. 3: AAS 72 (1980) 117-119.
  131. Cf. C.I.C., can. 940; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 57: AAS 59 (1967) 569; cf. Rituale Romano, Rito della Comunione fuori della Messa e Culto eucaristico, 1979, n. 11.
  132. Cf. soprattutto Sacra Congregazione per i Sacramenti, Istruzione Nullo umquam tempore, 28 maggio 1938: AAS 30 (1938) 198-207; C.I.C., can. 934-944.
  133. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 8.
  134. Cf. Pontificale Romano, Benedizione degli oli e dedicazione della chiesa e dell’altare, 1980, n. 161; Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione per l’esposizione di nuove immagini alla pubblica venerazione, nn. 1358-1406.
  135. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 125.
  136. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 128.
  137. Cf. Pontificale Romano, Benedizione degli oli e dedicazione della chiesa e dell’altare, 1980, Benedizione del calice e della patena, nn. 260-279; Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione degli oggetti per il culto, nn. 1495-1505.
  138. Cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione degli oggetti per il culto, nn. 1497.
  139. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 128.
  140. Cf. ibidem.
  141. Per quanto riguarda la benedizione degli oggetti che nella chiesa sono destinati all’uso liturgico, cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Parte terza.
  142. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 51.
  143. Cf. Messale Romano, Lezionario, seconda edizione tipica, Introduzione, n. 80.
  144. Cf. ibidem, n. 81.
  145. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 61.
  146. Cf. Conc. Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 54; Paolo VI, Esort. Ap. Marialis cultus, 2 febbraio 1974, n. 9: AAS 66 (1974) 122-123.
  147. Cf. soprattutto C.I.C., cann. 1176-1185; Rituale Romano, Rito delle esequie, 1974.
  148. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 14.
  149. Cf. ibidem, n. 41.
  150. Cf. C.I.C., can. 838, § 3.
  151. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 24.
  152. Cf. ibidem, n. 36, § 3.
  153. Cf. ibidem, n. 112.
  154. Cf. Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario, nn. 48-51; Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione Calendaria particularia, 24 giugno 1970, nn. 4, 8: AAS 62 (1970) 652-653.
  155. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 106.
  156. Cf. Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario, n. 46; Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione Calendaria particularia, 24 giugno 1970, nn. 38: AAS 62 (1970) 660.
  157. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 37-40.
  158. Cf. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, nn. 54, 62-69: AAS 87 (1995) 308-309, 311-313.
  159. Cf. ibidem, nn. 66-88: AAS 87 (1995) 313.
  160. Cf. ibidem, nn. 26-27: AAS 87 (1995) 298-299.
  161. Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, n. 16: AAS 81 (1988) 912; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, nn. 2, 36: AAS 87 (1995) 288, 302.
  162. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 23.
  163. Cf. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, n. 46: AAS 87 (1995) 306.
  164. Cf. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, n. 36: AAS 87 (1995) 302.
  165. Cf. ibidem, n. 54: AAS 87 (1995) 308-309.
  166. Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 38; Paolo VI, Cost. Ap. Missale Romanum.