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''Tratto da www.Vatican.va''<ref>Sito Ufficiale della Santa Sede, link: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccdds/documents/rc_con_ccdds_doc_20030317_ordinamento-messale_it.html</ref>
332. Per quanto riguarda la forma dei vasi sacri, è compito dell’artista confezionarli nel modo più conveniente, secondo gli usi delle singole regioni, purché siano adatti all’uso liturgico cui sono destinati, e si distinguano chiaramente da quelli destinati all’uso quotidiano.
333. Per la benedizione dei vasi sacri, si osservino i riti prescritti nei libri liturgici[136]<ref>Cf. Pontificale Romano, Benedizione degli oli e dedicazione della chiesa e dell’altare, 1980, Benedizione del calice e della patena, nn. 260-279; Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione degli oggetti per il culto, nn. 1495-1505.</ref>.
334. Si conservi la tradizione di costruire in sagrestia il sacrario per versarvi l’acqua per l’abluzione dei vasi sacri e della biancheria (Cf. n. 280).
=== IV. Le vesti sacre (335 - 347) ===
335. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, non tutte le membra svolgono lo stesso compito. Questa diversità di compiti nella celebrazione dell’Eucaristia, si manifesta esteriormente con la diversità delle vesti sacre, che perciò devono essere segno dell’ufficio proprio di ogni ministro. Conviene però che tali vesti contribuiscano anche al decoro dell’azione sacra. Le vesti che indossano i sacerdoti e i diaconi e gli altri ministri laici, prima di essere destinate all’uso liturgico, vengono opportunamente benedette secondo il rito descritto nel Rituale Romano[137]<ref>Cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione degli oggetti per il culto, nn. 1497.</ref>.
336. La veste sacra comune a tutti i ministri ordinati e istituiti di qualsiasi grado è il camice stretto ai fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Prima di indossare il camice, se questo non copre l’abito comune attorno al collo, si usi l’amitto. Il camice non può essere sostituito dalla cotta, neppure sopra la veste talare, quando, secondo le norme, si indossano la casula o la dalmatica, oppure quando si deve indossare la stola, senza la casula o la dalmatica.
341. Il piviale viene indossato dal sacerdote nelle processioni e nelle altre azioni sacre, secondo le rubriche proprie dei singoli riti.
342. Riguardo alla forma delle vesti sacre, le Conferenze Episcopali possono stabilire e proporre alla Sede Apostolica adattamenti richiesti dalle necessità e dagli usi delle singole regioni[138]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 128.</ref>.
343. Per la confezione delle vesti sacre, oltre alle stoffe tradizionali, si possono usare altre fibre naturali proprie delle singole regioni, come pure fibre artificiali, rispondenti alla dignità dell’azione sacra e della persona. In questa materia è giudice la Conferenza Episcopale[139]<ref>Cf. ibidem.</ref>.
344. La bellezza e la nobiltà delle vesti si devono cercare e porre in risalto più nella forma e nella materia usata, che nella ricchezza dell’ornato. Gli ornamenti possono presentare figurazioni, o immagini, o simboli, che indichino l’uso sacro delle vesti, con esclusione di ciò che non vi si addice.
=== V. Altre suppellettili destinate all’uso della chiesa (348 - 351) ===
348. Oltre ai vasi sacri e alle vesti liturgiche, per cui viene prescritta una determinata materia, anche l’altra suppellettile, destinata direttamente all’uso liturgico[140]<ref>Per quanto riguarda la benedizione degli oggetti che nella chiesa sono destinati all’uso liturgico, cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Parte terza.</ref>, o in qualunque altro modo ammessa nella chiesa, deve essere degna e rispondere al fine a cui ogni cosa è destinata.
349. Si curi in modo particolare che i libri liturgici, specialmente l’Evangeliario e il Lezionario, che sono destinati alla proclamazione della parola di Dio e quindi meritano una particolare venerazione, nell’azione liturgica siano davvero segni e simboli delle realtà soprannaturali, siano quindi degni, ornati e belli.
c) Nelle ferie del tempo ordinario, si può scegliere o la Messa della feria o la Messa di un’eventuale memoria facoltativa, o la Messa di qualche Santo ricordato in quel giorno nel Martirologio, o una Messa per le varie necessità o una Messa votiva.
Se celebra con partecipazione di popolo, il sacerdote si preoccuperà di non omettere troppo spesso e senza motivo sufficiente le letture assegnate per i singoli giorni dal Lezionario feriale: la Chiesa desidera infatti che venga offerta ai fedeli una mensa sempre più abbondante della parola di Dio[141]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 51.</ref>.
Per lo stesso motivo, non ricorra troppo spesso alle Messe dei defunti: tutte le Messe sono offerte per i vivi e per i defunti, e dei defunti si fa memoria in ogni Preghiera eucaristica.
Quindi i testi da leggersi nella celebrazione si devono scegliere in base a un’opportuna considerazione pastorale, e tenuta presente la libertà di scelta prevista per questi casi.
360. Si dà a volte una forma più lunga e una forma più breve dello stesso testo. Nella scelta fra le due stesure si tenga presente il criterio pastorale. Bisogna essere cioè attenti alla capacità dei fedeli di ascoltare con frutto una lettura più lunga o più breve e alla loro capacità di ascoltare il testo più completo, da spiegare poi con l’omelia[142]<ref>Cf. Messale Romano, Lezionario, seconda edizione tipica, Introduzione, n. 80.</ref>.
361. Quando è data la possibilità di scelta tra due testi già stabiliti o proposti come facoltativi, si dovrà tenere presente l’utilità dei partecipanti: si sceglierà quindi il testo più facile o più adatto ai fedeli riuniti, oppure si ripeterà o si tralascerà un testo indicato come proprio per una data celebrazione e facoltativo per l’altra, tenendo conto dell’utilità pastorale[143]<ref>Cf. ibidem, n. 81.</ref>.
Ciò può avvenire o quando il medesimo testo si dovesse rileggere a distanza ravvicinata, per esempio di domenica e il lunedì seguente, o quando si ha il fondato timore che il testo presenti difficoltà in qualche gruppo di fedeli. Si eviti tuttavia che, nella scelta dei testi della sacra Scrittura, alcune parti siano costantemente escluse.
=== I. Messe e orazioni per diverse circostanze (368 - 378) ===
368. Poiché la Liturgia dei Sacramenti e dei Sacramentali offre ai fedeli ben disposti la possibilità di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia che fluisce dal mistero pasquale[144]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 61.</ref>, e poiché l’Eucaristia è il sacramento per eccellenza, il Messale presenta formulari di Messe e orazioni che si possono usare nelle diverse circostanze della vita cristiana, per le necessità di tutto il mondo o della Chiesa universale e locale.
369. Essendovi una maggiore facoltà di scegliere le letture e le orazioni, è bene che delle Messe per diverse circostanze si faccia un uso moderato, cioè quando lo esige l’opportunità pastorale.
377. Nelle ferie del tempo ordinario nelle quali ricorrono memorie facoltative o si fa l’ufficio della feria, si può celebrare qualunque Messa o utilizzare qualunque orazione per diverse circostanze, fatta eccezione per le Messe rituali.
378. Si raccomanda particolarmente la memoria di santa Maria in sabato, perché nella Liturgia della Chiesa viene venerata in modo speciale e prima di tutti i Santi la Madre del Redentore[145]<ref>Cf. Conc. Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 54; Paolo VI, Esort. Ap. Marialis cultus, 2 febbraio 1974, n. 9: AAS 66 (1974) 122-123.</ref>.
=== II. Messe per i defunti (379-385) ===
379. La Chiesa offre il sacrificio eucaristico della Pasqua di Cristo per i defunti, in modo che, per la comunione esistente fra tutte le membra di Cristo, gli uni ricevano un aiuto spirituale e gli altri il conforto della speranza.
380. Tra le Messe per i defunti ha il primo posto la Messa esequiale, che si può celebrare tutti i giorni, eccetto le solennità di precetto, il Giovedì della Settimana santa, il Triduo pasquale e le domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, osservando inoltre tutto quello che prescrive il diritto[146]<ref>Cf. soprattutto C.I.C., cann. 1176-1185; Rituale Romano, Rito delle esequie, 1974.</ref>.
381. La Messa dei defunti alla notizia della morte di una persona, o nel giorno della sepoltura definitiva, o nel primo anniversario, si può celebrare anche fra l’ottava di Natale, nei giorni nei quali occorre una memoria obbligatoria o una feria, che non sia il Mercoledì delle Ceneri o una feria della Settimana santa.
== Capitolo IX - GLI ADATTAMENTI CHE COMPETONO AI VESCOVI DIOCESANI E ALLE CONFERENZE EPISCOPALI (386-399) ==
386. Ai nostri tempi, nel riformare il Messale Romano secondo i decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II, ci si è sempre preoccupati che tutti i fedeli, nella celebrazione eucaristica, possano esercitare quella piena, cosciente e attiva partecipazione, che è richiesta dalla natura della stessa Liturgia e alla quale gli stessi fedeli, in forza della loro condizione, hanno diritto e dovere[147]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 14.</ref>.
Perché la celebrazione risponda più pienamente alle norme e allo spirito della sacra Liturgia, in questo Ordinamento generale e nel rito della Messa vengono proposti alcuni ulteriori adattamenti, che sono affidati al giudizio o del Vescovo diocesano o delle Conferenze Episcopali.
387. Il Vescovo diocesano, che è da considerare come il grande sacerdote del suo gregge, dal quale in qualche misura deriva e dipende la vita dei suoi fedeli in Cristo[148]<ref>Cf. ibidem, n. 41.</ref>, deve promuovere, guidare e vigilare sulla vita liturgica nella sua diocesi. A lui, in questo Ordinamento generale è affidato il compito di regolare la disciplina della concelebrazione (Cf. n. 202, 374), stabilire le norme circa il compito di servire il sacerdote all’altare (Cf. n. 107), circa la distribuzione della sacra Comunione sotto le due specie (Cf. n. 283), circa la costruzione e la ristrutturazione delle chiese (Cf. n. 291). Ma a lui spetta prima di tutto coltivare nei presbiteri, nei diaconi e nei fedeli lo spirito della sacra Liturgia.
388. Gli adattamenti sotto descritti, che esigono maggiore coordinamento, sono da stabilirsi, secondo il diritto, dalla Conferenza Episcopale.
389. Alle Conferenze Episcopali spetta anzitutto preparare e approvare l’edizione di questo Messale Romano nelle lingue moderne approvate, affinché, dopo la conferma della Sede Apostolica, si usi poi nelle rispettive regioni[149]<ref>Cf. C.I.C., can. 838, § 3.</ref>.
Il Messale Romano, sia nel testo latino che nelle traduzioni nazionali legittimamente approvate, si deve pubblicare integralmente.
I Direttori o le Istruzioni pastorali, che le Conferenze Episcopali riterranno utili, previo il riconoscimento della Sede Apostolica, potranno essere introdotte nel Messale Romano in luogo opportuno.
391. Alle stesse Conferenze Episcopali spetta di dedicare una cura particolare alla traduzione dei testi biblici che si usano nella celebrazione della Messa. Dalla sacra Scrittura infatti sono desunte le pericopi che si leggono e che si spiegano nell’omelia e i salmi che si cantano; inoltre dalla sua ispirazione e dal suo contenuto sono nate le preghiere, le orazioni e i canti liturgici, come pure da essa prendono significato le azioni e i segni[150]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 24.</ref>.
Si usi il linguaggio che risponda alla capacità dei fedeli e che sia adatto ad una proclamazione pubblica, osservando tuttavia ciò che è proprio dei diversi modi di parlare nei libri biblici.
Si usi un linguaggio adatto ai fedeli della regione; tuttavia sia dignitoso e dotato di qualità letteraria, ferma restando la necessità di una catechesi sul senso biblico e cristiano di alcune parole ed espressioni.
È opportuno che, nelle regioni che hanno la stessa lingua, per quanto possibile, si abbia la stessa traduzione dei testi liturgici, soprattutto dei testi biblici e del rito della Messa[151]<ref>Cf. ibidem, n. 36, § 3.</ref>.
393. Considerando il posto eminente che il canto ha nella celebrazione, come parte necessaria e integrale della Liturgia[152]<ref>Cf. ibidem, n. 112.</ref>, è compito delle Conferenze Episcopali approvare melodie adatte, specialmente per i testi dell’Ordinario della Messa, per le risposte e le acclamazioni del popolo e per riti particolari che ricorrono durante l’anno liturgico.
È loro competenza, inoltre, giudicare quali forme musicali, quali melodie e quali strumenti musicali sia lecito ammettere nel culto divino, perché siano veramente adatti all’uso sacro o possano adattarvisi.
394. È necessario che ogni diocesi abbia il suo Calendario e il Proprio delle Messe. La Conferenza Episcopale poi prepari il calendario proprio della nazione o, con le altre Conferenze, un Calendario per una più vasta regione, da approvarsi dalla Sede Apostolica[153]<ref>Cf. Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario, nn. 48-51; Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione Calendaria particularia, 24 giugno 1970, nn. 4, 8: AAS 62 (1970) 652-653.</ref>.
Nel fare questo lavoro, si deve rispettare e difendere la domenica, come festa primordiale, quindi ad essa non siano anteposte altre celebrazioni, se non sono davvero di grandissima importanza[154]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 106.</ref>. Inoltre si presti attenzione che l’anno liturgico, rinnovato per volere del Concilio Vaticano II, non sia oscurato da elementi secondari.
Nel preparare il calendario della nazione, si stabiliscano i giorni delle Rogazioni e delle Quattro Tempora, facendo particolare attenzione alle forme e ai testi per la loro celebrazione[155] <ref>Cf. Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario, n. 46; Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione Calendaria particularia, 24 giugno 1970, nn. 38: AAS 62 (1970) 660.</ref> e ad altre particolari disposizioni.
Conviene che, nella edizione del Messale, le celebrazioni proprie di tutta la nazione o territorio siano inserite a suo luogo nel calendario generale, quelle invece proprie di una particolare regione o diocesi siano poste in appendice.
395. Infine, se la partecipazione dei fedeli e il loro bene spirituale esigono variazioni e adattamenti più profondi, perché la sacra celebrazione risponda allo spirito e alle tradizioni delle diverse popolazioni, le Conferenze Episcopali potranno proporle alla Sede Apostolica a norma dell’art. 40 della Costituzione sulla Sacra Liturgia, per introdurle, col suo consenso, a favore specialmente di quelle popolazioni a cui è stato annunziato il Vangelo più recentemente[156]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 37-40.</ref>. Si osservino attentamente le norme particolari che sono state stabilite nella Istruzione «La liturgia romana e l’inculturazione»[157]<ref>Cf. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, nn. 54, 62-69: AAS 87 (1995) 308-309, 311-313.</ref>.
Nel modo di procedere in questo lavoro si osservi quanto segue.
Anzitutto si faccia una previa esposizione particolareggiata alla Sede Apostolica, affinché, dopo aver ottenuta la debita facoltà, si proceda ad elaborare i singoli adattamenti.
Dopo l’approvazione delle proposte da parte della Santa Sede, si facciano esperimenti per i tempi e nei luoghi stabiliti. Se è il caso, terminato il tempo dell’esperimento, la Conferenza Episcopale stabilirà la prosecuzione degli adattamenti e sottoporrà al giudizio della Sede Apostolica la loro ultima formulazione[158]<ref>Cf. ibidem, nn. 66-88: AAS 87 (1995) 313.</ref>.
396. Tuttavia, prima di arrivare a nuovi adattamenti, specialmente se molto profondi, ci si dovrà dedicare con cura a promuovere saggiamente e ordinatamente una debita istruzione del clero e dei fedeli, a condurre ad effetto le facoltà già previste e ad applicare pienamente le norme pastorali rispondenti allo spirito della celebrazione.
397. Si osservi anche il principio per cui ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede[159]<ref>Cf. ibidem, nn. 26-27: AAS 87 (1995) 298-299.</ref>.
Il Rito romano costituisce una parte notevole e preziosa del tesoro e del patrimonio liturgico della Chiesa Cattolica; le sue ricchezze giovano al bene di tutta la Chiesa, tanto che la loro perdita le nuocerebbe gravemente.
Questo Rito nel corso dei secoli non solo ha conservato gli usi liturgici che hanno avuto origine nella città di Roma, ma in modo profondo, organico e armonico ha integrato in sé alcuni altri usi che derivavano dalle consuetudini e dalla cultura dei diversi popoli e delle diverse Chiese particolari dell’Occidente e dell’Oriente, acquisendo in tal modo un carattere che supera i limiti di una sola regione. Nel nostro tempo l’identità e l’espressione unitaria di questo Rito si trova nelle edizioni tipiche dei libri liturgici, promulgati dall’autorità del Sommo Pontefice e nei libri liturgici ad essi corrispondenti, confermati dalle Conferenze Episcopali per i loro territori e riconosciuti dalla Sede Apostolica[160]<ref>Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, n. 16: AAS 81 (1988) 912; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, nn. 2, 36: AAS 87 (1995) 288, 302.</ref>.
398. La norma stabilita dal Concilio Vaticano II[161]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 23.</ref>, che cioè le innovazioni nel rinnovamento liturgico non avvengano se non lo esige una vera e certa utilità della Chiesa, e usando quella cautela per cui le forme nuove in qualche modo scaturiscano organicamente dalle forme che già esistono, deve essere applicata per operare l’inculturazione anche dello stesso Rito romano[162]<ref>Cf. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, n. 46: AAS 87 (1995) 306.</ref>. L’inculturazione inoltre esige un congruo periodo di tempo, perché nella fretta e nella disattenzione non venga poi compromessa l’autentica tradizione liturgica.
La ricerca dell’inculturazione infine non tende affatto alla creazione di nuove famiglie rituali, ma a provvedere alle esigenze di una data cultura, in modo però che gli adattamenti introdotti sia nel Messale sia negli altri libri liturgici non rechino pregiudizio all’indole propria del Rito romano[163]<ref>Cf. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, n. 36: AAS 87 (1995) 302.</ref>.
399. Perciò il Messale Romano, anche nella diversità delle lingue e in una certa varietà di consuetudini[164]<ref>Cf. ibidem, n. 54: AAS 87 (1995) 308-309.</ref>, si deve conservare per il futuro come strumento e segno eccellente di integrità e di unità del Rito romano[165]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 38; Paolo VI, Cost. Ap. Missale Romanum.</ref>.
''© Conferenza Episcopale Italiana, 2007''
== Note ==

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