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''Tratto da www.Vatican.va''<ref>Sito Ufficiale della Santa Sede, link: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccdds/documents/rc_con_ccdds_doc_20030317_ordinamento-messale_it.html</ref>
c) nella Messa conventuale e nella Messa principale nelle chiese e negli oratori;
d) nelle Messe in occasione di incontri di sacerdoti, secolari o religiosi, qualunque sia il carattere di tali incontri[101]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 57; C.I.C., can. 902.</ref>.
Al singolo sacerdote sia tuttavia permesso celebrare l’Eucaristia in modo individuale, non però nel tempo in cui nella stessa chiesa o oratorio si tiene la concelebrazione. Ma il Giovedì della Settimana santa nella Messa vespertina «Nella Cena del Signore» e nella Messa della Veglia Pasquale non è permesso celebrare in modo individuale.
200. I presbiteri pellegrini siano accolti volentieri nella concelebrazione eucaristica, purché sia riconosciuta la loro condizione di sacerdoti.
201. Quando vi è un numero considerevole di sacerdoti, se la necessità o l’utilità pastorale lo suggerisce, si possono svolgere anche più concelebrazioni nello stesso giorno; si devono tuttavia tenere in tempi successivi o in luoghi sacri diversi[102]<ref>Cf. Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 47: AAS 59 (1967) 566.</ref>.
202. Spetta al Vescovo, a norma del diritto, regolare la disciplina della concelebrazione nella sua diocesi.
203. Particolare importanza si deve dare a quella concelebrazione, in cui i presbiteri di una diocesi concelebrano con il proprio Vescovo, nella Messa stazionale soprattutto nei giorni più solenni dell’anno liturgico, nella Messa dell’ordinazione del nuovo Vescovo diocesano o del suo Coadiutore o Ausiliare, nella Messa crismale, nella Messa vespertina «Nella Cena del Signore», nelle celebrazioni del Santo Fondatore della Chiesa locale o del Patrono della diocesi, negli anniversari del Vescovo, e infine in occasione del Sinodo o della visita pastorale.
Per lo stesso motivo si raccomanda la concelebrazione tutte le volte che i sacerdoti si radunano insieme con il proprio Vescovo, sia in occasione di esercizi spirituali, sia per qualche altro convegno. In tali circostanze viene manifestato in modo più evidente quel segno dell’unità del sacerdozio, come pure della Chiesa stessa, che è proprio di ogni concelebrazione[103]<ref>Cf. ibidem, 565.</ref>.
204. Per motivi particolari, suggeriti dal significato del rito o della festa, è concesso celebrare o concelebrare più volte nello stesso giorno nei seguenti casi:
c) nel Natale del Signore tutti i sacerdoti possono celebrare o concelebrare le tre Messe, purché lo facciano nelle ore corrispondenti;
d) nel giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, tutti i sacerdoti possono celebrare o concelebrare tre Messe, purché le celebrazioni avvengano in tempi diversi e osservando ciò che è stato stabilito per l’applicazione della seconda e terza Messa[104]<ref>Cf. Benedetto XV, Cost. Ap. Incruentum altaris sacrificium, 10 agosto 1915: AAS 7 (1915) 401-404.</ref>;
e) chi in occasione del Sinodo, della visita pastorale o di incontri sacerdotali concelebra col Vescovo o con un suo delegato, può di nuovo celebrare, per l’utilità dei fedeli. La stessa possibilità è data, con gli opportuni adattamenti, anche per le riunioni dei religiosi.
==== La Comunione sotto le due specie ====
281. La santa Comunione esprime con maggior pienezza la sua forma di segno, se viene fatta sotto le due specie. Risulta infatti più evidente il segno del banchetto eucaristico, e si esprime più chiaramente la volontà divina di ratificare la nuova ed eterna alleanza nel Sangue del Signore, ed è più intuitivo il rapporto tra il banchetto eucaristico e il convito escatologico nel regno del Padre[105]<ref>Cf. Sacra Congregazione dei riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 32: AAS 59 (1967) 558.</ref>.
282. I pastori d’anime si facciano un dovere di ricordare, nel modo più adatto, ai fedeli che partecipano al rito o che vi assistono, la dottrina cattolica riguardo alla forma della Comunione, secondo il Concilio Ecumenico di Trento. In particolare ricordino ai fedeli quanto insegna la fede cattolica: che, cioè, anche sotto una sola specie si riceve il Cristo tutto intero e il Sacramento in tutta la sua verità; di conseguenza, per quanto riguarda i frutti della Comunione, coloro che ricevono una sola specie, non rimangono privi di nessuna grazia necessaria alla salvezza[106]<ref>Cf. Conc. Ecum. Tridentino, Sess. XXI, 16 luglio 1562, Decreto sulla Comunione eucaristica, capp. 1-3, Denz-Schönm. 1725-1729.</ref>.
Inoltre insegnino che nell’amministrazione dei Sacramenti, salva la loro sostanza, la Chiesa ha il potere di determinare o cambiare ciò che essa ritiene più conveniente per la venerazione dovuta ai Sacramenti stessi e per l’utilità di coloro che li ricevono secondo la diversità delle circostanze, dei tempi e dei luoghi[107]<ref>Cf. ibidem, cap. 2, Denz-Schönm. 1728.</ref>. Nello stesso tempo però esortino i fedeli perché partecipino più intensamente al sacro rito, nella forma in cui è posto in maggior evidenza il segno del banchetto.
283. La Comunione sotto le due specie è permessa, oltre ai casi descritti nei libri rituali:
=== I. Principi generali (288 - 294) ===
288. Per la celebrazione dell’Eucaristia, il popolo di Dio si riunisce di solito nella chiesa oppure, se questa manca o è insufficiente, in un altro luogo decoroso che sia tuttavia degno di un così grande mistero. Quindi le chiese, o gli altri luoghi, siano adatte alla celebrazione delle azioni sacre e all’attiva partecipazione dei fedeli. Inoltre i luoghi sacri e le cose che servono al culto siano davvero degne, belle, segni e simboli delle realtà celesti[108]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 122-124; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 5; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 90: AAS 56 (1964) 897; Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: AAS 59 (1967) 554; C.I.C., can. 932, § 1.</ref>.
289. Pertanto la Chiesa non cessa di fare appello al nobile servizio delle arti e ammette le forme artistiche di tutti i popoli e di tutti i paesi[109]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 123.</ref>. Anzi, come si sforza di conservare le opere d’arte e i tesori che i secoli passati hanno trasmesso[110] <ref>Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: AAS 59 (1967) 554.</ref> e, per quanto è possibile, cerca di adattarli alle nuove esigenze, cerca pure di promuovere nuove forme corrispondenti all’indole di ogni epoca[111]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 123, 129; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 13 c: AAS 56 (1964) 880.</ref>.
Perciò nella formazione degli artisti come pure nella scelta delle opere da ammettere nella chiesa, si ricerchino gli autentici valori dell’arte, che alimentino la fede e la devozione e corrispondano alla verità del loro significato e al fine cui sono destinate[112]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 123.</ref>.
290. Tutte le chiese siano dedicate o almeno benedette. Le chiese cattedrali e parrocchiali siano dedicate con rito solenne.
291. Tutti coloro che sono interessati alla costruzione, alla ristrutturazione e all’adeguamento delle chiese, consultino la Commissione diocesana di Liturgia e Arte sacra. Il Vescovo diocesano, poi, si serva del consiglio e dell’aiuto della stessa Commissione quando si tratta di dare norme in questa materia o di approvare progetti di nuove chiese o di definire questioni di una certa importanza[113]<ref>Cf. ibidem, n. 126; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 91: AAS 56 (1964) 898.</ref>.
292. L’arredamento della chiesa si ispiri a una nobile semplicità, piuttosto che al fasto. Nella scelta degli elementi per l’arredamento, si curi la verità delle cose e si tenda all’educazione dei fedeli e alla dignità di tutto il luogo sacro.
294. Il popolo di Dio, che si raduna per la Messa, ha una struttura organica e gerarchica, che si esprime nei vari compiti e nel diverso comportamento secondo le singole parti della celebrazione. Pertanto è necessario che la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo modo l’immagine dell’assemblea riunita, consentire l’ordinata e organica partecipazione di tutti e favorire il regolare svolgimento dei compiti di ciascuno.
I fedeli e la schola avranno un posto che renda più facile la loro partecipazione attiva[114]<ref>Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, nn. 97-98: AAS 56 (1964) 899.</ref>.
Il sacerdote celebrante, il diacono e gli altri ministri prenderanno posto nel presbiterio. Lì si preparino le sedi dei concelebranti; se però il loro numero è grande, si dispongano le loro sedi in altra parte della chiesa, ma vicino all’altare.
=== II. Ordinamento del presbiterio per la Celebrazione eucaristica (295 – 310) ===
295. Il presbiterio è il luogo dove si trova l’altare, viene proclamata la parola di Dio, e il sacerdote, il diacono e gli altri ministri esercitano il loro ufficio. Si deve opportunamente distinguere dalla navata della chiesa per mezzo di una elevazione, o mediante strutture e ornamenti particolari. Sia inoltre di tale ampiezza da consentire un comodo svolgimento della celebrazione dell’Eucaristia e da favorire la sua visione[115]<ref>Cf. ibidem, n. 91: AAS 56 (1964) 898.</ref>.
==== L’altare e le sue suppellettili ====
L’altare si dice fisso se è costruito in modo da aderire al pavimento e non poter quindi venir rimosso; si dice invece mobile se lo si può trasportare.
299. L’altare sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo: la qual cosa è conveniente realizzare ovunque sia possibile. L’altare sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione dei fedeli[116]<ref>Cf. ibidem.</ref>. Normalmente sia fisso e dedicato.
300. L’altare, sia fisso che mobile, sia dedicato secondo il rito descritto nel Pontificale Romano; tuttavia l’altare mobile può essere solamente benedetto.
==== L’ambone ====
309. L’importanza della parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunciata, e verso il quale, durante la Liturgia della Parola, spontaneamente si rivolga l’attenzione dei fedeli[117]<ref>Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 96: AAS 56 (1964) 899.</ref>.
Conviene che tale luogo generalmente sia un ambone fisso e non un semplice leggio mobile. L’ambone, secondo la struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modo tale che i ministri ordinati e i lettori possano essere comodamente visti e ascoltati dai fedeli.
Dall’ambone si proclamano unicamente le letture, il salmo responsoriale e il preconio pasquale; ivi inoltre si possono proferire l’omelia e le intenzioni della preghiera universale o preghiera dei fedeli. La dignità dell’ambone esige che ad esso salga solo il ministro della Parola.
È conveniente che il nuovo ambone sia benedetto, prima di esser destinato all’uso liturgico, secondo il rito descritto nel Rituale Romano[118]<ref>Cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione di un nuovo ambone, nn. 1238-1266.</ref>.
==== La sede per il sacerdote celebrante e le altre sedi ====
310. La sede del sacerdote celebrante deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l’assemblea e di guidare la preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta al popolo, al fondo del presbiterio, a meno che non vi si oppongano la struttura dell’edificio e altri elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile la comunicazione tra il sacerdote e i fedeli riuniti, o se il tabernacolo occupa un posto centrale dietro l’altare. Si eviti ogni forma di trono[119]<ref>Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 92: AAS 56 (1964) 898.</ref>. È conveniente che la sede sia benedetta, prima di esser destinata all’uso liturgico, secondo il rito descritto nel Rituale Romano[120]<ref>Cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione di una cattedra o sede presidenziale, nn. 1214-1237.</ref>.
Nel presbiterio siano collocate inoltre le sedi per i sacerdoti concelebranti e quelle per i presbiteri che, indossando la veste corale, sono presenti alla celebrazione, senza concelebrare.
La sede del diacono sia posta vicino alla sede del celebrante. Per gli altri ministri le sedi siano disposte in modo che si distinguano dalle sedi del clero e che sia permesso loro di esercitare con facilità il proprio ufficio[121]<ref>Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 92: AAS 56 (1964) 898.</ref>.
=== III. La disposizione della Chiesa (311 – 318) ===
==== I posti dei fedeli ====
311. Si curi in modo particolare la collocazione dei posti dei fedeli, perché possano debitamente partecipare, con lo sguardo e con lo spirito, alle sacre celebrazioni. È bene mettere a loro disposizione banchi e sedie. Si deve però riprovare l’uso di riservare dei posti a persone private[122]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 32.</ref>. Le sedie o i banchi, specialmente nelle nuove chiese, vengano disposti in modo che i fedeli possano assumere comodamente i diversi atteggiamenti del corpo richiesti dalle diverse parti della celebrazione, e recarsi senza difficoltà a ricevere la santa Comunione.
Si abbia cura che i fedeli possano non solo vedere, ma anche, ascoltare comodamente sia il sacerdote, sia il diacono che i lettori grazie ai mezzi tecnici moderni.
==== Il posto della "schola cantorum" e degli strumenti musicali ====
312. La schola cantorum, tenuto conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo da mettere chiaramente in risalto la sua natura: che essa cioè è parte della comunità dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio; sia agevolato perciò il compimento del suo ministero liturgico e sia facilitata a ciascuno dei membri della schola la partecipazione sacramentale piena alla Messa[123]<ref>Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 23: AAS 59 (1967) 307.</ref>.
313. L’organo e gli altri strumenti musicali legittimamente ammessi siano collocati in luogo adatto, in modo da poter essere di appoggio sia alla schola sia al popolo che canta e, se vengono suonati da soli, possano essere facilmente ascoltati da tutti. È conveniente che l’organo venga benedetto prima di esser destinato all’uso liturgico, secondo il rito descritto nel Rituale Romano[124]<ref>Cf. Rituale Romano, Benedizionale, edizione italiana 1992, Benedizione di un organo, nn. 1478-1494.</ref>.
In tempo d’Avvento l’organo e altri strumenti musicali siano usati con quella moderazione che conviene alla natura di questo tempo, evitando di anticipare la gioia piena della Natività del Signore.
==== Il posto per la custodia della Ss.ma Eucaristia ====
314. Tenuto conto della struttura di ciascuna chiesa e delle legittime consuetudini dei luoghi, il SS. Sacramento sia conservato nel tabernacolo collocato in una parte della chiesa assai dignitosa, insigne, ben visibile, ornata decorosamente e adatta alla preghiera[125]<ref>Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 54: AAS 59 (1967) 568; Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 95: AAS 56 (1964) 898.</ref>.
Il tabernacolo sia unico, inamovibile, solido e inviolabile, non trasparente e chiuso in modo da evitare il più possibile il pericolo di profanazione[126]<ref>Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 52: AAS 59 (1967) 568; Istruzione Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 95: AAS 56 (1964) 898; Sacra Congregazione per i Sacramenti, Istruzione Nullo umquam tempore, 28 maggio 1938, n. 4: AAS 30 (1938) 199-200; cf. Rituale Romano, Rito della Comunione fuori della Messa e Culto eucaristico, 1979, nn. 10-11; C.I.C., can. 938, § 3.</ref>. È conveniente inoltre che venga benedetto prima di esser destinato all’uso liturgico, secondo il rito descritto nel Rituale Romano[127]<ref>Cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione di un tabernacolo eucaristico, nn. 1312-1330.</ref>.
315. In ragione del segno, è più conveniente che il tabernacolo in cui si conserva la SS. Eucaristia non sia collocato sull’altare su cui si celebra la Messa[128]<ref>Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 55: AAS 59 (1967) 569.</ref>.
Conviene quindi che il tabernacolo sia collocato, a giudizio del Vescovo diocesano:
a) o in presbiterio, non però sull’altare della celebrazione, nella forma e nel luogo più adatti, non escluso il vecchio altare che non si usa più per la celebrazione (Cf. n. 303);
b) o anche in qualche cappella adatta all’adorazione e alla preghiera privata dei fedeli[129]<ref>Cf. ibidem, n. 53: AAS 59 (1967) 568; Rituale Romano, Rito della Comunione fuori della Messa e Culto eucaristico, 1979, n. 9; C.I.C., can. can. 938, § 2; Giovanni Paolo II, Lett. Dominicae Cenae, 24 febbraio 1980, n. 3: AAS 72 (1980) 117-119.</ref>, che però sia unita strutturalmente con la chiesa e ben visibile ai fedeli.
316. Secondo una consuetudine tramandata, presso il tabernacolo rimanga sempre accesa una lampada particolare, alimentata da olio o cera, con cui si indichi e si onori la presenza di Cristo[130]<ref>Cf. C.I.C., can. 940; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 57: AAS 59 (1967) 569; cf. Rituale Romano, Rito della Comunione fuori della Messa e Culto eucaristico, 1979, n. 11.</ref>.
317. Si osservino rigorosamente anche tutte le altre disposizioni previste dal diritto per la conservazione della SS. Eucaristia[131]<ref>Cf. soprattutto Sacra Congregazione per i Sacramenti, Istruzione Nullo umquam tempore, 28 maggio 1938: AAS 30 (1938) 198-207; C.I.C., can. 934-944.</ref>.
==== Le immagini sacre ====
318. Nella Liturgia terrena, la Chiesa partecipa, pregustandola, a quella celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, alla quale tende come pellegrina e nella quale Cristo siede alla destra di Dio, e, venerando la memoria dei Santi, spera di avere parte con essi[132]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 8.</ref>.
Perciò, secondo un’antichissima tradizione della Chiesa, negli edifici sacri si espongano alla venerazione dei fedeli le immagini del Signore, della beata Vergine Maria e dei Santi[133]<ref>Cf. Pontificale Romano, Benedizione degli oli e dedicazione della chiesa e dell’altare, 1980, n. 161; Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione per l’esposizione di nuove immagini alla pubblica venerazione, nn. 1358-1406.</ref>;lì siano disposte in modo che conducano i fedeli verso i misteri della fede che vi si celebrano. Si presti attenzione che il loro numero non cresca in modo eccessivo, e che la loro disposizione non distolga l’attenzione dei fedeli dalla celebrazione[134]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 125.</ref>. Di un medesimo Santo poi non si abbia abitualmente che una sola immagine. In generale, nell’ornamento e nella disposizione della chiesa, per quanto riguarda le immagini, si cerchi di favorire la pietà di tutta la comunità oltre che la bellezza e la dignità delle immagini.
== Capitolo VI - COSE NECESSARIE PER LA CELEBRAZIONE DELLA MESSA ==
=== II. Le suppellettili sacre in genere (325 - 326) ===
325. Come per la costruzione delle chiese, anche per ogni tipo di suppellettile sacra la Chiesa ammette il genere e lo stile artistico di ogni regione, e accetta quegli adattamenti che corrispondono alle culture e alle tradizioni dei singoli popoli, purché ogni cosa sia adatta all’uso per il quale è destinata[135]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 128.</ref>.
Anche in questo settore si curi quella nobile semplicità che si accompagna tanto bene con l’arte autentica.
332. Per quanto riguarda la forma dei vasi sacri, è compito dell’artista confezionarli nel modo più conveniente, secondo gli usi delle singole regioni, purché siano adatti all’uso liturgico cui sono destinati, e si distinguano chiaramente da quelli destinati all’uso quotidiano.
333. Per la benedizione dei vasi sacri, si osservino i riti prescritti nei libri liturgici[136]<ref>Cf. Pontificale Romano, Benedizione degli oli e dedicazione della chiesa e dell’altare, 1980, Benedizione del calice e della patena, nn. 260-279; Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione degli oggetti per il culto, nn. 1495-1505.</ref>.
334. Si conservi la tradizione di costruire in sagrestia il sacrario per versarvi l’acqua per l’abluzione dei vasi sacri e della biancheria (Cf. n. 280).
=== IV. Le vesti sacre (335 - 347) ===
335. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, non tutte le membra svolgono lo stesso compito. Questa diversità di compiti nella celebrazione dell’Eucaristia, si manifesta esteriormente con la diversità delle vesti sacre, che perciò devono essere segno dell’ufficio proprio di ogni ministro. Conviene però che tali vesti contribuiscano anche al decoro dell’azione sacra. Le vesti che indossano i sacerdoti e i diaconi e gli altri ministri laici, prima di essere destinate all’uso liturgico, vengono opportunamente benedette secondo il rito descritto nel Rituale Romano[137]<ref>Cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Benedizione degli oggetti per il culto, nn. 1497.</ref>.
336. La veste sacra comune a tutti i ministri ordinati e istituiti di qualsiasi grado è il camice stretto ai fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Prima di indossare il camice, se questo non copre l’abito comune attorno al collo, si usi l’amitto. Il camice non può essere sostituito dalla cotta, neppure sopra la veste talare, quando, secondo le norme, si indossano la casula o la dalmatica, oppure quando si deve indossare la stola, senza la casula o la dalmatica.
341. Il piviale viene indossato dal sacerdote nelle processioni e nelle altre azioni sacre, secondo le rubriche proprie dei singoli riti.
342. Riguardo alla forma delle vesti sacre, le Conferenze Episcopali possono stabilire e proporre alla Sede Apostolica adattamenti richiesti dalle necessità e dagli usi delle singole regioni[138]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 128.</ref>.
343. Per la confezione delle vesti sacre, oltre alle stoffe tradizionali, si possono usare altre fibre naturali proprie delle singole regioni, come pure fibre artificiali, rispondenti alla dignità dell’azione sacra e della persona. In questa materia è giudice la Conferenza Episcopale[139]<ref>Cf. ibidem.</ref>.
344. La bellezza e la nobiltà delle vesti si devono cercare e porre in risalto più nella forma e nella materia usata, che nella ricchezza dell’ornato. Gli ornamenti possono presentare figurazioni, o immagini, o simboli, che indichino l’uso sacro delle vesti, con esclusione di ciò che non vi si addice.
=== V. Altre suppellettili destinate all’uso della chiesa (348 - 351) ===
348. Oltre ai vasi sacri e alle vesti liturgiche, per cui viene prescritta una determinata materia, anche l’altra suppellettile, destinata direttamente all’uso liturgico[140]<ref>Per quanto riguarda la benedizione degli oggetti che nella chiesa sono destinati all’uso liturgico, cf. Rituale Romano, Benedizionale, 1992, Parte terza.</ref>, o in qualunque altro modo ammessa nella chiesa, deve essere degna e rispondere al fine a cui ogni cosa è destinata.
349. Si curi in modo particolare che i libri liturgici, specialmente l’Evangeliario e il Lezionario, che sono destinati alla proclamazione della parola di Dio e quindi meritano una particolare venerazione, nell’azione liturgica siano davvero segni e simboli delle realtà soprannaturali, siano quindi degni, ornati e belli.
c) Nelle ferie del tempo ordinario, si può scegliere o la Messa della feria o la Messa di un’eventuale memoria facoltativa, o la Messa di qualche Santo ricordato in quel giorno nel Martirologio, o una Messa per le varie necessità o una Messa votiva.
Se celebra con partecipazione di popolo, il sacerdote si preoccuperà di non omettere troppo spesso e senza motivo sufficiente le letture assegnate per i singoli giorni dal Lezionario feriale: la Chiesa desidera infatti che venga offerta ai fedeli una mensa sempre più abbondante della parola di Dio[141]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 51.</ref>.
Per lo stesso motivo, non ricorra troppo spesso alle Messe dei defunti: tutte le Messe sono offerte per i vivi e per i defunti, e dei defunti si fa memoria in ogni Preghiera eucaristica.
Quindi i testi da leggersi nella celebrazione si devono scegliere in base a un’opportuna considerazione pastorale, e tenuta presente la libertà di scelta prevista per questi casi.
360. Si dà a volte una forma più lunga e una forma più breve dello stesso testo. Nella scelta fra le due stesure si tenga presente il criterio pastorale. Bisogna essere cioè attenti alla capacità dei fedeli di ascoltare con frutto una lettura più lunga o più breve e alla loro capacità di ascoltare il testo più completo, da spiegare poi con l’omelia[142]<ref>Cf. Messale Romano, Lezionario, seconda edizione tipica, Introduzione, n. 80.</ref>.
361. Quando è data la possibilità di scelta tra due testi già stabiliti o proposti come facoltativi, si dovrà tenere presente l’utilità dei partecipanti: si sceglierà quindi il testo più facile o più adatto ai fedeli riuniti, oppure si ripeterà o si tralascerà un testo indicato come proprio per una data celebrazione e facoltativo per l’altra, tenendo conto dell’utilità pastorale[143]<ref>Cf. ibidem, n. 81.</ref>.
Ciò può avvenire o quando il medesimo testo si dovesse rileggere a distanza ravvicinata, per esempio di domenica e il lunedì seguente, o quando si ha il fondato timore che il testo presenti difficoltà in qualche gruppo di fedeli. Si eviti tuttavia che, nella scelta dei testi della sacra Scrittura, alcune parti siano costantemente escluse.
=== I. Messe e orazioni per diverse circostanze (368 - 378) ===
368. Poiché la Liturgia dei Sacramenti e dei Sacramentali offre ai fedeli ben disposti la possibilità di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia che fluisce dal mistero pasquale[144]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 61.</ref>, e poiché l’Eucaristia è il sacramento per eccellenza, il Messale presenta formulari di Messe e orazioni che si possono usare nelle diverse circostanze della vita cristiana, per le necessità di tutto il mondo o della Chiesa universale e locale.
369. Essendovi una maggiore facoltà di scegliere le letture e le orazioni, è bene che delle Messe per diverse circostanze si faccia un uso moderato, cioè quando lo esige l’opportunità pastorale.
377. Nelle ferie del tempo ordinario nelle quali ricorrono memorie facoltative o si fa l’ufficio della feria, si può celebrare qualunque Messa o utilizzare qualunque orazione per diverse circostanze, fatta eccezione per le Messe rituali.
378. Si raccomanda particolarmente la memoria di santa Maria in sabato, perché nella Liturgia della Chiesa viene venerata in modo speciale e prima di tutti i Santi la Madre del Redentore[145]<ref>Cf. Conc. Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 54; Paolo VI, Esort. Ap. Marialis cultus, 2 febbraio 1974, n. 9: AAS 66 (1974) 122-123.</ref>.
=== II. Messe per i defunti (379-385) ===
379. La Chiesa offre il sacrificio eucaristico della Pasqua di Cristo per i defunti, in modo che, per la comunione esistente fra tutte le membra di Cristo, gli uni ricevano un aiuto spirituale e gli altri il conforto della speranza.
380. Tra le Messe per i defunti ha il primo posto la Messa esequiale, che si può celebrare tutti i giorni, eccetto le solennità di precetto, il Giovedì della Settimana santa, il Triduo pasquale e le domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, osservando inoltre tutto quello che prescrive il diritto[146]<ref>Cf. soprattutto C.I.C., cann. 1176-1185; Rituale Romano, Rito delle esequie, 1974.</ref>.
381. La Messa dei defunti alla notizia della morte di una persona, o nel giorno della sepoltura definitiva, o nel primo anniversario, si può celebrare anche fra l’ottava di Natale, nei giorni nei quali occorre una memoria obbligatoria o una feria, che non sia il Mercoledì delle Ceneri o una feria della Settimana santa.
== Capitolo IX - GLI ADATTAMENTI CHE COMPETONO AI VESCOVI DIOCESANI E ALLE CONFERENZE EPISCOPALI (386-399) ==
386. Ai nostri tempi, nel riformare il Messale Romano secondo i decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II, ci si è sempre preoccupati che tutti i fedeli, nella celebrazione eucaristica, possano esercitare quella piena, cosciente e attiva partecipazione, che è richiesta dalla natura della stessa Liturgia e alla quale gli stessi fedeli, in forza della loro condizione, hanno diritto e dovere[147]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 14.</ref>.
Perché la celebrazione risponda più pienamente alle norme e allo spirito della sacra Liturgia, in questo Ordinamento generale e nel rito della Messa vengono proposti alcuni ulteriori adattamenti, che sono affidati al giudizio o del Vescovo diocesano o delle Conferenze Episcopali.
387. Il Vescovo diocesano, che è da considerare come il grande sacerdote del suo gregge, dal quale in qualche misura deriva e dipende la vita dei suoi fedeli in Cristo[148]<ref>Cf. ibidem, n. 41.</ref>, deve promuovere, guidare e vigilare sulla vita liturgica nella sua diocesi. A lui, in questo Ordinamento generale è affidato il compito di regolare la disciplina della concelebrazione (Cf. n. 202, 374), stabilire le norme circa il compito di servire il sacerdote all’altare (Cf. n. 107), circa la distribuzione della sacra Comunione sotto le due specie (Cf. n. 283), circa la costruzione e la ristrutturazione delle chiese (Cf. n. 291). Ma a lui spetta prima di tutto coltivare nei presbiteri, nei diaconi e nei fedeli lo spirito della sacra Liturgia.
388. Gli adattamenti sotto descritti, che esigono maggiore coordinamento, sono da stabilirsi, secondo il diritto, dalla Conferenza Episcopale.
389. Alle Conferenze Episcopali spetta anzitutto preparare e approvare l’edizione di questo Messale Romano nelle lingue moderne approvate, affinché, dopo la conferma della Sede Apostolica, si usi poi nelle rispettive regioni[149]<ref>Cf. C.I.C., can. 838, § 3.</ref>.
Il Messale Romano, sia nel testo latino che nelle traduzioni nazionali legittimamente approvate, si deve pubblicare integralmente.
I Direttori o le Istruzioni pastorali, che le Conferenze Episcopali riterranno utili, previo il riconoscimento della Sede Apostolica, potranno essere introdotte nel Messale Romano in luogo opportuno.
391. Alle stesse Conferenze Episcopali spetta di dedicare una cura particolare alla traduzione dei testi biblici che si usano nella celebrazione della Messa. Dalla sacra Scrittura infatti sono desunte le pericopi che si leggono e che si spiegano nell’omelia e i salmi che si cantano; inoltre dalla sua ispirazione e dal suo contenuto sono nate le preghiere, le orazioni e i canti liturgici, come pure da essa prendono significato le azioni e i segni[150]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 24.</ref>.
Si usi il linguaggio che risponda alla capacità dei fedeli e che sia adatto ad una proclamazione pubblica, osservando tuttavia ciò che è proprio dei diversi modi di parlare nei libri biblici.
Si usi un linguaggio adatto ai fedeli della regione; tuttavia sia dignitoso e dotato di qualità letteraria, ferma restando la necessità di una catechesi sul senso biblico e cristiano di alcune parole ed espressioni.
È opportuno che, nelle regioni che hanno la stessa lingua, per quanto possibile, si abbia la stessa traduzione dei testi liturgici, soprattutto dei testi biblici e del rito della Messa[151]<ref>Cf. ibidem, n. 36, § 3.</ref>.
393. Considerando il posto eminente che il canto ha nella celebrazione, come parte necessaria e integrale della Liturgia[152]<ref>Cf. ibidem, n. 112.</ref>, è compito delle Conferenze Episcopali approvare melodie adatte, specialmente per i testi dell’Ordinario della Messa, per le risposte e le acclamazioni del popolo e per riti particolari che ricorrono durante l’anno liturgico.
È loro competenza, inoltre, giudicare quali forme musicali, quali melodie e quali strumenti musicali sia lecito ammettere nel culto divino, perché siano veramente adatti all’uso sacro o possano adattarvisi.
394. È necessario che ogni diocesi abbia il suo Calendario e il Proprio delle Messe. La Conferenza Episcopale poi prepari il calendario proprio della nazione o, con le altre Conferenze, un Calendario per una più vasta regione, da approvarsi dalla Sede Apostolica[153]<ref>Cf. Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario, nn. 48-51; Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione Calendaria particularia, 24 giugno 1970, nn. 4, 8: AAS 62 (1970) 652-653.</ref>.
Nel fare questo lavoro, si deve rispettare e difendere la domenica, come festa primordiale, quindi ad essa non siano anteposte altre celebrazioni, se non sono davvero di grandissima importanza[154]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 106.</ref>. Inoltre si presti attenzione che l’anno liturgico, rinnovato per volere del Concilio Vaticano II, non sia oscurato da elementi secondari.
Nel preparare il calendario della nazione, si stabiliscano i giorni delle Rogazioni e delle Quattro Tempora, facendo particolare attenzione alle forme e ai testi per la loro celebrazione[155] <ref>Cf. Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario, n. 46; Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione Calendaria particularia, 24 giugno 1970, nn. 38: AAS 62 (1970) 660.</ref> e ad altre particolari disposizioni.
Conviene che, nella edizione del Messale, le celebrazioni proprie di tutta la nazione o territorio siano inserite a suo luogo nel calendario generale, quelle invece proprie di una particolare regione o diocesi siano poste in appendice.
395. Infine, se la partecipazione dei fedeli e il loro bene spirituale esigono variazioni e adattamenti più profondi, perché la sacra celebrazione risponda allo spirito e alle tradizioni delle diverse popolazioni, le Conferenze Episcopali potranno proporle alla Sede Apostolica a norma dell’art. 40 della Costituzione sulla Sacra Liturgia, per introdurle, col suo consenso, a favore specialmente di quelle popolazioni a cui è stato annunziato il Vangelo più recentemente[156]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 37-40.</ref>. Si osservino attentamente le norme particolari che sono state stabilite nella Istruzione «La liturgia romana e l’inculturazione»[157]<ref>Cf. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, nn. 54, 62-69: AAS 87 (1995) 308-309, 311-313.</ref>.
Nel modo di procedere in questo lavoro si osservi quanto segue.
Anzitutto si faccia una previa esposizione particolareggiata alla Sede Apostolica, affinché, dopo aver ottenuta la debita facoltà, si proceda ad elaborare i singoli adattamenti.
Dopo l’approvazione delle proposte da parte della Santa Sede, si facciano esperimenti per i tempi e nei luoghi stabiliti. Se è il caso, terminato il tempo dell’esperimento, la Conferenza Episcopale stabilirà la prosecuzione degli adattamenti e sottoporrà al giudizio della Sede Apostolica la loro ultima formulazione[158]<ref>Cf. ibidem, nn. 66-88: AAS 87 (1995) 313.</ref>.
396. Tuttavia, prima di arrivare a nuovi adattamenti, specialmente se molto profondi, ci si dovrà dedicare con cura a promuovere saggiamente e ordinatamente una debita istruzione del clero e dei fedeli, a condurre ad effetto le facoltà già previste e ad applicare pienamente le norme pastorali rispondenti allo spirito della celebrazione.
397. Si osservi anche il principio per cui ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede[159]<ref>Cf. ibidem, nn. 26-27: AAS 87 (1995) 298-299.</ref>.
Il Rito romano costituisce una parte notevole e preziosa del tesoro e del patrimonio liturgico della Chiesa Cattolica; le sue ricchezze giovano al bene di tutta la Chiesa, tanto che la loro perdita le nuocerebbe gravemente.
Questo Rito nel corso dei secoli non solo ha conservato gli usi liturgici che hanno avuto origine nella città di Roma, ma in modo profondo, organico e armonico ha integrato in sé alcuni altri usi che derivavano dalle consuetudini e dalla cultura dei diversi popoli e delle diverse Chiese particolari dell’Occidente e dell’Oriente, acquisendo in tal modo un carattere che supera i limiti di una sola regione. Nel nostro tempo l’identità e l’espressione unitaria di questo Rito si trova nelle edizioni tipiche dei libri liturgici, promulgati dall’autorità del Sommo Pontefice e nei libri liturgici ad essi corrispondenti, confermati dalle Conferenze Episcopali per i loro territori e riconosciuti dalla Sede Apostolica[160]<ref>Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, n. 16: AAS 81 (1988) 912; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, nn. 2, 36: AAS 87 (1995) 288, 302.</ref>.
398. La norma stabilita dal Concilio Vaticano II[161]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 23.</ref>, che cioè le innovazioni nel rinnovamento liturgico non avvengano se non lo esige una vera e certa utilità della Chiesa, e usando quella cautela per cui le forme nuove in qualche modo scaturiscano organicamente dalle forme che già esistono, deve essere applicata per operare l’inculturazione anche dello stesso Rito romano[162]<ref>Cf. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, n. 46: AAS 87 (1995) 306.</ref>. L’inculturazione inoltre esige un congruo periodo di tempo, perché nella fretta e nella disattenzione non venga poi compromessa l’autentica tradizione liturgica.
La ricerca dell’inculturazione infine non tende affatto alla creazione di nuove famiglie rituali, ma a provvedere alle esigenze di una data cultura, in modo però che gli adattamenti introdotti sia nel Messale sia negli altri libri liturgici non rechino pregiudizio all’indole propria del Rito romano[163]<ref>Cf. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, n. 36: AAS 87 (1995) 302.</ref>.
399. Perciò il Messale Romano, anche nella diversità delle lingue e in una certa varietà di consuetudini[164]<ref>Cf. ibidem, n. 54: AAS 87 (1995) 308-309.</ref>, si deve conservare per il futuro come strumento e segno eccellente di integrità e di unità del Rito romano[165]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 38; Paolo VI, Cost. Ap. Missale Romanum.</ref>.
''© Conferenza Episcopale Italiana, 2007''
== Note ==

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