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'''Gesti e atteggiamenti del corpo'''
42. I gesti e l’atteggiamento del corpo sia del sacerdote, del diacono e dei ministri, sia del popolo devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, che si colga il vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti[52]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 30, 34; cf. anche il n. 21.</ref>. Si dovrà prestare attenzione affinché le norme stabilite da questa Introduzione generale e dalla prassi secolare del Rito romano, contribuiscano al bene spirituale comune del popolo di Dio, più che al gusto personale o all’arbitrio.
L’atteggiamento comune del corpo, da osservarsi da tutti i partecipanti, è segno dell’unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la sacra Liturgia: manifesta infatti e favorisce l’intenzione e i sentimenti dell’animo di coloro che partecipano.
S’inginocchino poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano lo stato di salute, la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri ragionevoli motivi. Quelli che non si inginocchiano alla consacrazione, facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopo la consacrazione.
Spetta però alle Conferenze Episcopali adattare i gesti e gli atteggiamenti del corpo, descritti nel Rito della Messa, alla cultura e alle ragionevoli tradizioni dei vari popoli secondo le norme del diritto[53]<ref>Cf. ibidem, n. 40; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Varietates Legitimae, 25 gennaio 1994, n. 41: AAS 87 (1995) 304.</ref>. Nondimeno si faccia in modo che tali adattamenti corrispondano al senso e al carattere di ciascuna parte della celebrazione. Dove vi è la consuetudine che il popolo rimanga in ginocchio dall’acclamazione del Santo fino alla conclusione della Preghiera eucaristica e prima della Comunione, quando il sacerdote dice Ecco l’Agnello di Dio, tale uso può essere lodevolmente conservato.
Per ottenere l’uniformità nei gesti e negli atteggiamenti del corpo in una stessa celebrazione, i fedeli seguano le indicazioni che il diacono o un altro ministro laico o lo stesso sacerdote danno secondo le norme stabilite nel Messale.
44. Fra i gesti sono comprese anche le azioni e le processioni: quella del sacerdote che, insieme al diacono e ai ministri, si reca all’altare; quella del diacono che porta all’ambone l’Evangeliario o il Libro dei Vangeli prima della proclamazione del Vangelo; quella con la quale i fedeli presentano i doni o si recano a ricevere la Comunione. Conviene che tali azioni e processioni siano fatte in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le norme stabilite per ognuna di esse.
'''Il silenzio'''
45. Si deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione[54]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 30; Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 17: AAS 59 (1967) 305.</ref>. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica.
Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia e nel luogo dove si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione.
=== III. LE SINGOLE PARTI DELLA MESSA===
==== A) Riti di introduzione====
46. I riti che precedono la Liturgia della Parola, cioè l’introito, il saluto, l’atto penitenziale, il Kyrie eleison, il Gloria e l’orazione (o colletta), hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione.
In alcune celebrazioni, connesse con la Messa secondo le norme dei libri liturgici, si omettono i riti iniziali o si svolgono in maniera particolare.
'''L’introito'''
47. Quando il popolo è radunato, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con il diacono e i ministri, si inizia il canto d’ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri.
48. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia l’antifona con il suo salmo, quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale simplex, oppure un altro canto adatto all’azione sacra, al carattere del giorno o del tempo[55]<ref>Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Dies Domini, 31 maggio 1998, n. 50: AAS 90 (1998) 745.</ref>, e il cui testo sia stato approvato dalla Conferenza Episcopale.
Se all’introito non ha luogo il canto, l’antifona proposta dal Messale romano viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o altrimenti dallo stesso sacerdote che può anche adattarla a modo di monizione iniziale (Cf. n. 31).
'''Saluto all’altare e al popolo radunato'''
49. Giunti in presbiterio, il sacerdote, il diacono e i ministri salutano l’altare con un profondo inchino.
Salutato il popolo, il sacerdote, o il diacono o un ministro laico, può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno.
'''Atto penitenziale'''
51. Quindi il sacerdote invita all’atto penitenziale, che, dopo una breve pausa di silenzio, viene compiuto da tutta la comunità mediante una formula di confessione generale, e si conclude con l’assoluzione del sacerdote, che tuttavia non ha lo stesso valore del sacramento della Penitenza.
La domenica, specialmente nel tempo pasquale, in circostanze particolari, si può sostituire il consueto atto penitenziale con la benedizione e l’aspersione dell’acqua in memoria del Battesimo[56]<ref>Cf. sotto, Appendice II.</ref>.
'''Kyrie eleison'''
52. (= 30) Dopo l’atto penitenziale ha sempre luogo il Kyrie eleison, a meno che non sia già stato detto durante l’atto penitenziale. Essendo un canto col quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia, di solito viene eseguito da tutti, in alternanza tra il popolo e la schola o un cantore.
Ogni acclamazione viene ripetuta normalmente due volte, senza escluderne tuttavia un numero maggiore, in considerazione dell’indole delle diverse lingue o della composizione musicale o di circostanze particolari. Quando il Kyrie eleison viene cantato come parte dell’atto penitenziale, alle singole acclamazioni si fa precedere un «tropo».
'''Gloria'''
53. Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello. Il testo di questo inno non può essere sostituito con un altro. Viene iniziato dal sacerdote o, secondo l’opportunità, dal cantore o dalla schola, ma viene cantato o da tutti simultaneamente o dal popolo alternativamente con la schola, oppure dalla stessa schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, o insieme o da due cori che si alternano.
Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in celebrazioni di particolare solennità.
'''Colletta'''
54. Poi il sacerdote invita il popolo a pregare e tutti insieme con lui stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e poter formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera. Quindi il sacerdote dice l’orazione, chiamata comunemente «colletta», per mezzo della quale viene espresso il carattere della celebrazione. Per antica tradizione della Chiesa, l’orazione colletta è abitualmente rivolta a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo[57] <ref>Cf. Tertulliano, Adversus Marcionem, IV, 9: CCSL 1, 560; Origene, Disputatio cum Heracleida, n. 4, 24: SCh 67, 62; Statuta Concilii Hipponensi Breviata, 21: CCSL 149, 39.</ref> e termina con la conclusione trinitaria, cioè più lunga, in questo modo:
- se è rivolta al Padre: Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;
B) Liturgia della Parola
55. Le letture scelte dalla sacra Scrittura con i canti che le accompagnano costituiscono la parte principale della Liturgia della Parola; l’omelia, la professione di fede e la preghiera universale o preghiera dei fedeli sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle letture, che vengono poi spiegate nell’omelia, Dio parla al suo popolo[58]<ref>Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 33.</ref>, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua parola, tra i fedeli[59]<ref>Cf. ibidem, n. 7.</ref>. Il popolo fa propria questa parola divina con il silenzio e i canti, e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito, prega nell’orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero.
'''Il silenzio'''
56. La Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono osservare, ad esempio, prima che inizi la stessa Liturgia della Parola, dopo la prima e la seconda lettura, e terminata l’omelia[60].