Musicam Sacram

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Musicam sacram è il titolo di un'istruzione sulla musica sacra cattolica romana pubblicata dalla Sacra Congregazione dei Riti il 5 marzo 1967 in concomitanza con il Concilio Vaticano II. [1] L'istruzione riguarda la forma e la natura della musica di culto nell'ambito del Sacrosanctum concilium.[2] Secondo il documento, non è una raccolta di "tutta la legislazione sulla musica sacra; stabilisce solo le norme principali che sembrano essere più necessarie ai nostri giorni".[3]

Introduzione

ISTRUZIONE DEL «CONSILIUM»
E DELLA SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI

MUSICAM SACRAM

5 marzo 1967

Proemio

1. La musica sacra ha formato oggetto di considerazione da parte del Concilio Vaticano II, per gli aspetti che hanno relazione con la riforma liturgica. Il Concilio, infatti, ne ha messo in rilievo i compiti nel culto divino, fissando in proposito vari principi e varie norme nella Costituzione sulla sacra Liturgia, e dedicandole un intero capitolo nella medesima Costituzione.

2. Le decisioni del Concilio hanno già avuto una prima applicazione nella riforma liturgica da poco iniziata. Ma le nuove norme circa l’ordinamento dei riti e la partecipazione attiva dei fedeli hanno suscitato alcune difficoltà riguardanti la musica sacra e il suo compito ministeriale. È quindi sembrato utile risolvere tali difficoltà anche per mettere meglio in luce alcuni principi posti dalla Costituzione sulla sacra Liturgia.

3. Pertanto il «Consilium» per l’applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia, per incarico del Sommo Pontefice, ha accuratamente esaminato tali questioni ed ha preparato la presente Istruzione, che non si propone di raccogliere tutta la legislazione sulla musica sacra, ma soltanto di fissare le norme principali che sembrano più necessarie in questo momento. Essa viene quasi a continuare e completare la precedente Istruzione di questa Sacra Congregazione, ugualmente preparata dal «Consilium», riguardante la esatta applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia, ed emanata il 26 settembre 1964.

4. È lecito sperare che i pastori d’anime, i musicisti e i fedeli, accogliendo volentieri e mettendo in pratica queste norme, uniranno, in piena concordia, i loro sforzi per raggiungere il vero fine della musica sacra «che è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli»[4].

a) Musica sacra è quella che, composta per la celebrazione del culto divino, è dotata di santità e bontà di forme[5].

b) Sotto la denominazione di Musica sacra si comprende, in questo documento: il canto gregoriano, la polifonia sacra antica e moderna nei suoi diversi generi, la musica sacra per organo e altri strumenti legittimamente ammessi nella Liturgia, e il canto popolare sacro, cioè liturgico e religioso[6].

I. ALCUNE NORME GENERALI

5. L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando è celebrata in canto, con i ministri di ogni grado che svolgono il proprio ufficio, e con la partecipazione del popolo[4]. In questa forma di celebrazione, infatti, la preghiera acquista un’espressione più gioiosa, il mistero della sacra Liturgia e la sua natura gerarchica e comunitaria vengono manifestati più chiaramente, l’unità dei cuori è resa più profonda dall’unità delle voci, gli animi si innalzano più facilmente alle cose celesti per mezzo dello splendore delle cose sacre, e tutta la celebrazione prefigura più chiaramente la liturgia che si svolge nella Gerusalemme celeste.

Perciò i pastori di anime si sforzino in ogni modo di realizzare questa forma di celebrazione; anzi, sappiano convenientemente applicare, anche alle celebrazioni senza canto, cui il popolo partecipa, la distribuzione degli uffici e delle parti, propria dell’azione liturgica celebrata in canto, curando soprattutto che vi siano i ministri necessari e idonei e sia favorita la partecipazione attiva dei fedeli. La preparazione pratica di ogni celebrazione liturgica si faccia d’accordo tra tutti coloro che devono curare la parte rituale o pastorale o del canto, sotto la guida del rettore della chiesa.

6. L’ordinamento autentico della celebrazione liturgica presuppone anzitutto la debita divisione ed esecuzione degli uffici, per cui «ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza»[5] richiede inoltre che si rispetti il senso e la natura propria di ciascuna parte e di ciascun canto. Per questo è necessario in particolare che le parti, che di per sé richiedono il canto, siano di fatto cantate, usando tuttavia il genere e la forma richiesti dalla loro natura.

7. Tra la forma solenne più completa delle celebrazioni liturgiche, nella quale tutto ciò che richiede il canto viene di fatto cantato, e la forma più semplice, nella quale non si usa il canto, si possono avere diversi gradi, a seconda della maggiore o minore ampiezza che si attribuisce al canto. Tuttavia nello scegliere le parti da cantarsi si cominci da quelle che per loro natura sono di maggiore importanza: prima di tutto quelle spettanti al sacerdote e ai ministri, cui deve rispondere il popolo, o che devono essere cantate dal sacerdote insieme con il popolo; si aggiungano poi gradualmente quelle che sono proprie dei soli fedeli o della sola «schola cantorum».

8. Ogni volta che, per una celebrazione liturgica in canto, si può fare una scelta di persone, è bene dar la preferenza a coloro che sono più capaci nel canto; e ciò soprattutto quando si tratta di azioni liturgiche più solenni, di celebrazioni che comportano un canto più difficile o che vengono trasmesse per radio o per televisione[6].

Se poi questa scelta non è possibile, e il sacerdote o il ministro non è capace di eseguire convenientemente le parti di canto, questi può recitare ad alta voce, declamando, l’una o l’altra delle parti più difficili a lui spettanti; ma ciò non deve favorire solo la comodità del sacerdote o del ministro.

9. Nello scegliere il genere di musica sacra, sia per la «schola cantorum» che per i fedeli, si tenga conto delle possibilità di coloro che devono cantare. La Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche nessun genere di musica sacra, purché corrisponda allo spirito dell’azione liturgica e alla natura delle singole parti[7], e non impedisca una giusta partecipazione dei fedeli[8]

10. Perché i fedeli partecipino attivamente alla liturgia più volentieri e con maggior frutto, conviene che le forme di celebrazione e i gradi di partecipazione siano opportunamente variati, per quanto è possibile, secondo la solennità dei giorni e delle assemblee.

11. Si tenga presente che la vera solennità di un’azione liturgica dipende non tanto dalla forma più ricca del canto e dall’apparato più fastoso delle cerimonie, quanto piuttosto dal modo degno e religioso della celebrazione, che tiene conto dell’integrità dell’azione liturgica, dell’esecuzione cioè di tutte le sue parti, secondo la loro natura. La forma più ricca del canto e l’apparato più fastoso delle cerimonie sono sì qualche volta desiderabili, quando cioè vi sia la possibilità di fare ciò nel modo dovuto; sarebbero tuttavia contrari alla vera solennità dell’azione liturgica, se portassero ad ometterne qualche elemento, a mutarla o a compierla in modo indebito.

12. Alla sola Sede Apostolica compete di stabilire, secondo le norme tradizionali, ma specialmente secondo la Costituzione sulla sacra Liturgia, i principi generali più importanti, che sono come il fondamento della musica sacra. Tale diritto spetta, entro i limiti stabiliti, anche alle Conferenze Episcopali, legittimamente costituite, e al Vescovo[9].

II. I partecipanti alle celebrazioni liturgiche

13. Le azioni liturgiche sono celebrazioni della Chiesa, cioè del popolo santo radunato e ordinato sotto la guida del Vescovo o del sacerdote[10]. In esse hanno un posto particolare, per il sacro ordine ricevuto, il sacerdote e i suoi ministri; e, per l’ufficio che svolgono, i ministranti, il lettore, il commentatore e i membri della «schola cantorum»[11].

14. Il sacerdote presiede la santa assemblea in persona di Cristo. Le preghiere che egli canta o dice ad alta voce, poiché proferite in nome di tutto il popolo santo e di tutti gli astanti[12],devono essere da tutti ascoltate religiosamente.

15. I fedeli adempiono il loro ufficio liturgico per mezzo di quella piena, consapevole e attiva partecipazione che è richiesta dalla natura stessa della Liturgia e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del battesimo[13].

Questa partecipazione:

a) deve essere prima di tutto interna: e per essa i fedeli conformano la loro mente alle parole che pronunziano o ascoltano, e cooperano con la grazia divina[14];

b) deve però essere anche esterna: e con questa manifestano la partecipazione interna attraverso i gesti e l’atteggiamento del corpo, le acclamazioni, le risposte e il canto[15];

Si educhino inoltre i fedeli a saper innalzare la loro mente a Dio attraverso la partecipazione interiore, mentre ascoltano ciò che i ministri o la «schola» cantano.

16. Non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di una assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua fede. Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, seguendo questo ordine:

a) Comprenda prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri e alle preghiere litaniche; inoltre le antifone e i salmi, i versetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici[16].

b) Con una adatta catechesi e con esercitazioni pratiche si conduca gradatamente il popolo ad una sempre più ampia, anzi fino alla piena partecipazione a tutto ciò che gli spetta.

c) Si potrà tuttavia affidare alla sola «schola» alcuni canti del popolo, specialmente se i fedeli non sono ancora sufficientemente istruiti, o quando si usano composizioni musicali a più voci, purché il popolo non sia escluso dalle altre parti che gli spettano. Ma non è da approvarsi l’uso di affidare per intero alla sola «schola cantorum» tutte le parti cantate del «Proprio» e dell’« Ordinario», escludendo completamente il popolo dalla partecipazione nel canto.

17. Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio[17] per esso, infatti, i fedeli non sono ridotti a partecipare all’azione liturgica come estranei e muti spettatori, ma si inseriscono più intimamente nel mistero che si celebra, in forza delle disposizioni interne, che derivano dalla Parola di Dio che si ascolta, dai canti e dalle preghiere che si pronunziano, e dall’unione spirituale con il sacer­dote che proferisce le parti a lui spettanti.

18. Tra i fedeli siano istruiti con speciale cura nel canto sacro i membri delle associazioni religiose di laici, affinché contribuiscano più efficacemente a sostenere e promuovere la partecipazione dei fedeli[18]. La formazione di tutti i fedeli al canto sia promossa con zelo e pazienza, insieme alla formazione liturgica, secondo l’età, la condizione, il genere di vita e il grado di cultura religiosa dei fedeli stessi, iniziando già dai primi anni di istruzione nelle scuole elementari[19].

19. È degno di particolare attenzione, per il servizio liturgico che svolge, il «coro» o «cappella musicale» o «schola cantorum».

A seguito delle norme conciliari riguardanti la riforma liturgica, il suo compito è divenuto di ancor maggiore rilievo e importanza: deve infatti curare l’esecuzione esatta delle parti sue proprie, secondo i vari generi di canto, e favorire la partecipazione attiva dei fedeli nel canto.

Pertanto:

a) un « coro» o una «cappella musicale» o una « schola cantorum» si abbia e si promuova con cura, specialmente nelle cattedrali e nelle altre chiese maggiori, nei seminari e negli studentati religiosi;

b) «scholae», benché modeste, è opportuno siano istituite anche presso le chiese minori.

20. Le cappelle musicali già esistenti presso basiliche, cattedrali, monasteri e altre chiese maggiori, e che nel corso dei secoli si sono acquistate grandi meriti, custodendo e sviluppando un patrimonio musicale di inestimabile valore, si conservino, con propri regolamenti, riveduti e approvati dall’Ordinario, per una celebrazione delle azioni sacre in una forma più sontuosa.

Tuttavia i maestri di quelle «scholae» e i rettori delle chiese si curino che i fedeli possano sempre associarsi al canto, almeno nell’esecuzione delle parti più facili che loro spettano.

21. Si provveda, specialmente dove non si abbia la possibilità di istituire neppure una «schola» modesta, che ci siano almeno uno o due cantori, convenientemente istruiti, che propongano almeno dei canti semplici per la partecipazione del popolo e guidino e sostengano opportunamente i fedeli nell’esecuzione di quanto loro spetta. È bene che ci sia un tale cantore anche nelle chiese che hanno una «schola», per quelle celebrazioni alle quali la «schola» non può partecipare, e che tuttavia devono svolgersi con una certa solennità, e perciò con il canto.

22. La «schola cantorum», secondo le legittime consuetudini dei vari paesi e le diverse situazioni concrete, può esser composta sia di uomini e ragazzi, sia di soli uomini o di soli ragazzi, sia di uomini e donne, ed anche, dove il caso veramente lo richieda, di sole donne.

23. La «schola cantorum», tenendo conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo che:

a) chiaramente appaia la sua natura: che essa cioè fa parte dell’assemblea dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio;

b) sia facilitata l’esecuzione del suo ministero liturgico[20];

c) sia assicurata a ciascuno dei suoi membri la comodità di partecipare alla Messa nel modo più pieno, cioè attraverso la partecipazione sacramentale.

Quando poi la «schola cantorum» comprenda anche donne, sia posta fuori del presbiterio.

24. Oltre alla formazione musicale, si dia ai membri della «schola cantorum» anche un’adeguata formazione liturgica e spirituale, in modo che dalla esatta esecuzione del loro ufficio liturgico, derivi non soltanto il decoro dell’azione sacra e l’edificazione dei fedeli, ma anche un vero bene spirituale per gli stessi cantori.

25. Ad assicurare più facilmente questa formazione tecnica e spirituale, prestino la loro opera le associazioni diocesane, nazionali ed internazionali di musica sacra, e specialmente quelle approvate e più volte raccomandate dalla Sede Apostolica.

26. Il sacerdote celebrante, i ministri sacri o i ministranti, il lettore, i membri della «schola cantorum» e il commentatore proferiscano le parti loro assegnate in modo ben intelligibile, così da rendere più faci­le e quasi naturale la risposta dei fedeli, quando è richiesta dal rito. È bene che il sacerdote e i ministri di ogni grado uniscano la propria voce alla voce di tutta l’assemblea nelle parti spettanti al popolo[21].

Bibliografia

Note

  1. Joncas 1997, pag. 5; Sacred Congregation of Rites 1967.
  2. Joncas 1997, pag. 5; Sacred Congregation of Rites 1967, sec. 3.
  3. Congregazione dei Riti, 1967, sec. 3.
  4. SC 113.
  5. Cfr. S. Pio X, «Motu proprio» Tra le sollecitudini, 22 nov. 1903, n. 2 (ASS 36 [1903-l904] 332)
  6. Cfr. S. Congr. dei Riti, Istr. sulla musica sacra e la sacra Liturgia, 3 set. 1958, n. 4 (AAS 50 [1958] 633)